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Dove è finita la medicina di base? (di Giuseppe Fauceglia)

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L’emergenza della pandemia avrebbe dovuto imporre una riflessione approfondita sul sistema sanitario nazionale e sulla sua riforma; mentre il tempo si è consumato in sterili polemiche, finalizzate alla ricerca del consenso (vera e propria malattia di questa “inconsapevole” classe politica).

In questa sede voglio analizzare, sia pure in termini generali, perché l’argomento richiede ben maggiori approfondimenti, il problema dell’evidente fallimento della c.d. medicina di base. Si badi: questa riflessione non intende disconoscere il sacrificio, pagato con la vita, di molti medici di base né l’abnegazione di alcuni o l’indifferenza e l’inefficienza di molti, ma solo affrontare complessivamente la questione.

Come è noto, la L. n. 83/1978 con l’art. 14, nel riformare il sistema sanitario nazionale (a mio avviso, senza molte avvedutezze e sulla spinta della solita retorica della “democratizzazione delle strutture”), introdusse una figura che avrebbe dovuto essere centrale: quella del medico di base (altrimenti detto “di famiglia”).

Si tratta di figure professionali dotate di autonomia, non dipendenti delle aziende sanitarie, e che prestano la loro attività a seguito di uno specifico accordo (c.d. convenzione). Queste prestazioni ed i relativi obblighi dei medici di base risultano essere disciplinati, oltre che da fonti normative, anche da un “Accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale”.

In sintesi si può dire che i compiti dei medici di base consistono: a) nel tutelare la salute dei propri pazienti nell’attività di diagnosi, terapia, riabilitazione, prevenzione a livello del singolo individuo e della famiglia; b) nel garantire livelli essenziali e uniformi di assistenza soddisfacendo i bisogni sanitari dei pazienti sia nell’ambulatorio che presso il domicilio del paziente stesso; c) nel gestire le patologie acute e croniche, ed occuparsi dei pazienti nei vari ambiti di assistenza.

Veniamo ora alla domanda: in un contesto così critico e drammatico come quello provocato dal Covid19, i medici di base hanno svolto il loro compito? Ognuno dei lettori potrà dare la risposta che nella propria esperienza di vita ha potuto maturare oppure trarre la stessa dalla situazione dei pronto soccorso e degli ospedali.

In sostanza, è a tutti chiara la risposta: se la medicina di base avesse con efficacia ed efficienza svolto il proprio ruolo, anche coordinandosi con le strutture sanitarie locali, non avremmo conosciuto le conseguenze di cui innanzi.

Vi è da dire, che, a fronte di questo sfascio, la Regione Lazio ha ritenuto di investire i medici di base di compiti più specifici, in occasione dell’ondata pandemica, ma subito il solito TAR Lazio ha provveduto ad annullare l’atto regionale (forse molti medici di base sono sicuramente più bravi nell’uso delle carte bollate!).

Si pone, allora, il problema di rivedere la normativa, assegnando la fonte primaria alla competenza statale ed escludendo quella regionale, con il compito di indicare con attenzione e specificazione le funzioni proprie dei medici di base, molte volte intesi come meri soggetti di prescrizioni farmaceutiche.

Le nuove norme generali dovrebbero provvedere: a) a delineare un nuovo quadro generale della medicina di base, collegando lo svolgimento dei servizi con le strutture delle aziende sanitarie; b) ad indicare con maggiore precisione e vincoli gli obblighi di assistenza, diagnosi e terapia, con controlli sulla efficacia delle prestazioni e dei risultati diagnostici; c) a rivedere il sistema dei poteri “sanzionatori” e delle norme in tema di risoluzione delle convenzioni singole.

In verità, sono molto scettico sul risultato sia perché quanto detto richiede uno sforzo non pretendibile da questa compagine governativa e dalla stessa sua composizione soggettiva, dappoi perché è ben noto il legame da sempre esistente tra medici di base (cc.dd. massimalisti) e la politica, soprattutto in alcune Regioni del Sud, ed i potentati locali non vorrebbero fare a meno di queste vere e proprie calamite di voti

Giuseppe Fauceglia

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