L’Europa c’è e lotta con lentezza. Il processo negoziale verso Next Generation EU (NGEU) si è inceppato nel trabocchetto procedurale della “prise de décision” all’unanimità. Tradotto in lingua corrente significa che una delegazione può rallentare l’iter finché non ottiene soddisfazione: finché cioè la maggioranza non escogita un compromesso, a volte solo cosmetico, altre sostanziale, per adottare la decisione.
La cronistoria. Il 21 luglio 2020 Charles Michel annuncia che il bilancio complessivo UE per le sfide del futuro ammonterà a 1.824,3 miliardi di euro di cui 1.074,3 del Quadro Finanziario Pluriennale (QFP) e 750 per NGEU. Il pacchetto metterà l’Unione in condizione di fronteggiare le conseguenze economiche della pandemia e di attuare il New Green Deal del programma della Commissione von der Leyen.
Poiché sulla proposta c’è il beneplacito preventivo della Germania (e della Francia) che assume la presidenza di turno del Consiglio in quel mese, il gioco pare fatto. E’ consuetudine nel mondo brussellese che una proposta importante passa se ha il via libera di Berlino, altrimenti viene accantonata per tempi migliori che maturano quando la delegazione tedesca accetta di giocare il gioco. Nessuno scandalo: in Europa funziona il meccanismo che Enrico Cuccia aveva individuato per le grandi aziende: le azioni non si contano, si pesano. E il voto tedesco pesa.
Michel aggiunge con l’enfasi del caso che “questo accordo manda un concreto segnale che l’UE è una forza per l’azione”.
Il 10 novembre la presidenza tedesca del Consiglio raggiunge l’intesa con il Parlamento europeo sul rafforzamento del programma con fondi aggiuntivi per Orizzonte Europa (programma quadro ricerca, la scommessa sul futuro), EU4Health (il programma sanitario dapprima dedicato alla lotta al cancro e ora esteso alle pandemie), Erasmus+ (l’azione per diffondere la conoscenza d’Europa fra i giovani). Si aggiungano le intenzioni in favore della flessibilità nelle spese per rispondere alle crisi e le ambizioni in materia di biodiversità, clima, parità di generi.
Ed infine l’impegno ad esplorare “una mappa verso nuove risorse proprie”. Consiglio e Parlamento concordano pure che le violazioni dello stato di diritto (rule of law) in alcuni stati membri pregiudica la sana gestione del bilancio europeo e vanno sanzionate.
L’Europa progressista rialza la testa in contemporanea, non del tutto casuale, con l’elezione del Democratico Biden alla Casa Bianca.
Il 19 novembre, a conclusione del vertice da remoto, Charles Michel informa che il Consiglio europeo “prende nota” dello stallo in seno al negoziato su NGEU. Sulla condizione legalitaria (rispetto dello stato di diritto) la maggioranza delle delegazioni è d’accordo mentre una minoranza non è in grado di accettarla.
Non nomina, per pudore diplomatico, le delegazioni minoritarie, nelle quali è facile individuare la Polonia e l’Ungheria con la Slovenia tentata di porsi a metà strada. Il nodo riguarda l’esercizio della sovranità nazionale su aspetti che l’Unione ritiene di pertinenza comune. Le discussioni sul punto continueranno in vista del possibile accordo.
Michel fissa il prossimo appuntamento il 10 dicembre a Bruxelles. Nel frattempo la Presidenza tedesca dovrà convincere i riottosi con l’argomento principe: il blocco del pacchetto significa che i loro paesi non beneficeranno delle nuove provvidenze. La salvifica Angela Merkel vorrà concludere il suo ultimo mandato europeo con un successo storico: guidare l’Unione verso nuovi orizzonti come il suo mentore Helmut Kohl guidò la Germania all’unificazione trenta anni fa. God save the Chancellor!
di Cosimo Risi
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