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Cosa sappiamo finora delle tre varianti inglese, sudafricana e brasiliana

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Dopo la scoperta del ceppo britannico, sono altre due le mutazioni di coronavirus che preoccupano gli scienziati: in Sudafrica è presente la versione ‘501.V2’ di Sars-CoV-2, mentre in Brasile – più recentemente – è stata individuata la B.1.1.28. Secondo i dati finora a disposizione, i vaccini disponibili funzionerebbero anche sulle nuove varianti, ma l’allarme nasce dalla maggiore contagiosità. Tuttavia non sono state accertate una virulenza o una mortalità superiore rispetto al ceppo iniziale.

VARIANTE INGLESE – È la prima ad aver allarmato la comunità scientifica, a causa delle numerose alterazioni a livello genetico che la caratterizzano. Si chiama B.1.1.7 e, secondo gli scienziati, ha avuto origine nel Sudest dell’Inghilterra a settembre

Si è diffusa molto in fretta da novembre in poi. Le alterazioni che caratterizzano questa variante sarebbero almeno 23, 14 delle quali localizzate sulla proteina spike, la “chiave” d’ingresso del virus nella cellula. Stando alle osservazioni degli studiosi, questa variante presenta maggiori capacità di legarsi al recettore ACE-2 umano e pertanto rende più semplice la propagazione del virus

I primi dati indicano che probabilmente è più contagiosa, ma non più virulenta. E sembra possa essere neutralizzata dagli attuali vaccini anti-Covid

VARIANTE SUDAFRICANA – Si tratta della versione ‘501.V2’ di Sars-CoV-2, individuata i primi di ottobre. Sembra abbia iniziato a diffondersi molto rapidamente in Sudafrica

A metà novembre, ‘501.V2’ rappresentava il 90% dei genomi sequenziati dagli scienziati sudafricani. I dati genomici ed epidemiologici suggeriscono che, come per la variante inglese, anche questa sudafricana sia più contagiosa ma non più pericolosa

Nel complesso la variante conta 21 mutazioni, nove delle quali concentrate nella spike. Ma anche in questo caso gli scienziati concordano che dai dati al momento disponibili i vaccini anti-Covid sono efficaci

VARIANTE BRASILIANA – È la variante B.1.1.28 riscontrata più recentemente in un caso di reinfezione: un’infermiera 45enne si è nuovamente ammalata con questa nuova variante cinque mesi dopo essersi ripresa da una precedente infezione causata da un ceppo più vecchio

Nella seconda infezione i sintomi della donna sono peggiorati

Questa variante contiene mutazioni più rilevanti: una, in particolare, cambierebbe la forma della proteina spike all’esterno del virus in un modo che potrebbe renderla meno riconoscibile al sistema immunitario rendendo più difficile il compito degli anticorpi

Antonio Mastino, microbiologo associato all’Istituto di farmacologia traslazionale del Consiglio nazionale delle ricerche, ha spiegato all’Agi che “le varianti e le mutazioni attualmente in circolazione da un lato rappresentano una fonte di preoccupazione per via della più elevata capacità di trasmettersi tra gli individui, ma dall’altro – ha sostenuto – dobbiamo ricordarci che la mutazione è un processo naturale degli agenti patogeni e che, sulla base delle conoscenze attuali, nessuna di queste varianti sembra amplificare la patogenicità del virus

Il fattore più allarmante, invece, per quanto ne sappiamo finora, riguarderebbe solo la possibilità di trasmissione. “Il pericolo – sostiene Mastino – è legato al fatto che se il virus raggiunge più persone aumentano le probabilità che raggiunga gli individui più vulnerabili, ma la variante in sé non rappresenta un motivo di preoccupazione più elevato a livello di patogenicità”

Non ci sono infatti dati che supportino l’idea che le varianti inglese, brasiliana o sudafricana siano più dannose per chi le contrae. “È importante, però – ha detto Mastino – proseguire gli studi e prendere tutte le precauzioni possibili, anche perché la maggiore efficienza di penetrare nell’organismo può far sì che l’infezione si trasmetta anche in soggetti precedentemente meno vulnerabili, come i bambini e i più giovani, cosa che stiamo osservando nell’ambito di questi nuovi ceppi”

Per Mastino, inoltre, “sulla base delle considerazioni scientifiche attualmente disponibili, le varianti identificate finora dovrebbero essere comunque sensibili ai vaccini già sviluppati e in corso di impiego”

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