Da 123 a 431 euro per sposarsi nelle sale de Comune: la denuncia di Lambiase

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Bene ha fatto Lorenzo Forte, vicepresidente dell’associazione HELP, a porre l’attenzione sul problema dei costi per la celebrazione del matrimonio civile nelle strutture comunali.

Un’Amministrazione comunale, realmente attenta allo stato e ai bisogni della cittadinanza che è deputata a governare, dovrebbe intervenire con provvedimenti non solo strutturali ma anche simbolici indirizzati a rimuovere, per quanto è nelle sue prerogative e nelle sue possibilità, tutte le condizioni di diseguaglianza. Tra queste certamente la disparità economica.

Tuttavia, anche nel caso sollevato di recente da molti cittadini a proposito dell’”Adeguamento tariffe matrimoni civili. Anno 2020 “, licenziato con Delibera di Giunta 468/2019, l’Amministrazione si dimostra insensibile nei confronti della cittadinanza meno abbiente, ribadendo un “listino prezzi” – introdotto nel “Regolamento per la Celebrazione dei Matrimoni Civili” per il godimento di un diritto sancito costituzionalmente che appare, sotto questo profilo, come un vero e proprio elementi discriminatorio.

Per poter fruire dei locali direttamente in capo al Comune, si va, infatti, dai 123 euro per la Sala Matrimoni SS.DD. di via Picarielli, ai 246 euro per la Sala del Gonfalone di Palazzo di Città, fino ai 431 euro per la Sala dei Marmi di Palazzo di Città e per Villa Carrara.

Risulta evidente come le fasce più deboli vengano in tal modo discriminate e periferizzate: un simbolo fortemente icastico di quale sia il “centro” delle preoccupazioni dell’Amministrazione.

Tra l’altro, tutti i cittadini sanno bene che la sede di via Picarielli non offre neanche il decoro necessario per lo svolgimento di una funzione che una sua importanza certamente ha nella vita di ognuno. E ciò sicuramente non dipende dal servizio che tanti impiegati con solerzia quotidianamente offrono alla popolazione.

Soprattutto in un momento come quello che stiamo vivendo, nel quale la forbice tra classi sociali si sta fortemente divaricano ai danni dei più deboli, sarebbe un segno allo stesso tempo concreto e simbolico eliminare del tutto tale “prezzario”, in modo da rendere, almeno in questo, i cittadini davvero uguali e non discriminati nell’usufruire di diritti fondamentali in base al censo.

Ma, ancora più in generale, si rinviene nella ratio della dalla Delibera in oggetto, un elemento di perversione nella visione e nella gestione della cosa pubblica; infatti, così come riportato testualmente:  «con la sopra indicata deliberazione è stato determinato un contributo a carico degli sposi per i matrimoni da celebrare nell’orario di lavoro e/o fuori dall’orario ordinario di lavoro, tenendo conto sia dei costi aggiuntivi che deve sostenere il Comune per le prestazioni da rendere da parte del personale dipendente, sia dell’importo da versare per l’utilizzo della struttura».

Fatta salva la ragionevolezza della disposizione riguardante l’utilizzo della struttura al di fuori dei normali orari di servizio, il cittadino è tenuto a pagare per fruire di una struttura che dovrebbe essere “sua” ma che nell’ottica consueta di questa Amministrazione è vista alla stregua di una “proprietà privata”. Dunque, il cittadino dovrebbe pagare un “fitto” per godere di un bene proprio. Non è azzardato pensare a una illegittima privatizzazione di un bene pubblico.

Pertanto, alla luce di tutto quanto detto finora, si chiede di eliminare del tutto il “contributo” richiesto al cittadino per godere di un diritto che gli deriva ai sensi dell’art. 29 della Costituzione italiana.

Lo scrive Gianpaolo Lambiase (Salerno di Tutti)

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