Secondo studiosi, in una sola battaglia contro i Romani, gli Armeni persero 100.000 uomini. A Canne, furono i Romani a perderne almeno 60.000 in 10 ore. Nell’imboscata di Teutoburgo furono perse tre intere legioni, la XVII, la XVIII e la XIX, mai più ricostituite.
Le guerre causavano veri e propri stermini. Per fortuna, allora non si seguivano metodi di limitazione delle nascite e la popolazione comunque cresceva. C’era una esigenza assoluta di nuovi soldati per continuare a combattere.
Per questo, se prendiamo per certa una vita media di 25/30 anni, possiamo dire che, per coprire i 2.000 anni dall’anno zero, ci sono volute ‘appena’ 75 generazioni. Duemila anni sono una enormità temporale e dimostrano tutta la ‘piccolezza’ della vita umana, ma 75 generazioni sono, numericamente, più ‘a portata di mano’.
In sostanza, per venire noi al mondo, sono stati sufficienti 75 ‘parenti stretti’. Non sappiamo quale contributo abbiano apportato ma, messi insieme ad altri, possiamo ben dire che hanno fatto parecchio.
Epperò, se sono cambiate di molto le condizioni della vita, molte cose di quegli anni sono ancora presenti nelle modalità di condurre la vita. Solo pensando al diritto, dotti professionisti tuttora ricorrono alle regole latine dimostrando che i comportamenti degli umani non sono cambiati di molto. E che, quindi, altre regole si potrebbero tranquillamente applicare per affrontare i problemi della quotidianità.
Nello schieramento in battaglia, i Romani erano davvero superiori. Anche se poteva capitare di uscirne sconfitti.
L’esercito del periodo repubblicano veniva disposto a scacchiera su tre file: davanti gli ‘astati’, giovani baldanzosi e desiderosi di combattere, in mezzo i ‘principi’, più esperti e cauti, e dietro i ‘triarii’, veterani di tante battaglie, il cui compito era quello di difendere la posizione quando ‘astati’ e ‘principi’ fossero stati costretti a retrocedere posizionandosi nei vuoti della scacchiera. Nell’accoglierli, si chiudevano stretti dietro agli scudi per formare una barriera di contrasto in attesa di recuperare le forze o dell’intervento della cavalleria posta sui lati.
Quando i ‘triarii’ erano costretti a entrare in battaglia, i comandanti si preoccupavano assai del suo esito, per quanta fiducia potessero avere nella capacità di resistere e contrattaccare. Così, la frase ‘res ad triarios rediit’ significava che se l’erano vista brutta, ma che erano comunque riusciti a vincere. Cosa che succedeva spesso.
Oggi, viviamo in un mondo di pericoli di ogni genere, in massima parte frutto della insipienza dei tanti che hanno organizzato la vita consentendo l’insorgere di squilibri intollerabili tra gli umani e di coloro che hanno ritenuto giusto instaurare un rapporto conflittuale con la natura.
Nella nostra Città, come dappertutto, ci sono oggi situazioni difficili e i problemi sono di una tale complessità da rendere indispensabile il contributo di tutti i cittadini, pur nel rispetto delle singole capacità e condizioni.
Tra i giovani, dispersi scolasticamente e disorientati dagli eventi, si diffondono comportamenti di disinteresse, di egoismo, di prepotenza, di menefreghismo, di insofferenza, indotti da un’altra regola del tempo dei Romani: ‘mors tua, vita mea’. Poteva andare bene allora, oggi è proprio inaccettabile.
La Città ha ‘tirato i remi in barca’ e chi avrebbe la possibilità di fare qualcosa si astiene da ogni coinvolgimento, forse perché assalito dalla disillusione o da un sentimento generalizzato di frustrazione, di abbandono, se non di depressione. E, i nemici, rappresentati dagli effetti devastanti della crisi, avanzano.
Potrebbe essere certamente utile la baldanza dei giovani, più o meno professionalizzati, sperando nella loro volontà di cambiamento. Ma, i fatti stanno dimostrando che sembrano più orientati a cambiare sé stessi, appena possibile.
Potrebbe essere utile l’esperienza dei ‘più maturi’. Epperò, ‘tenendo famiglia’, c’è il rischio che pensino a sistemare i propri figli, piuttosto che dare un futuro a quelli degli altri.
Così, forse, abbiamo anche noi bisogno di ricorrere ai ‘triarii’ e, in particolare, a quelli, tra essi, in grado di apportare onestà, esperienze e conoscenze.
Quando la battaglia volgeva al brutto, i ‘triarii’ accoglievano gli ‘astati’ e i ‘principi’ chiudendosi tra una barriera di scudi contro i quali si abbattevano, spesso inutilmente, gli eserciti nemici.
Il loro era un compito complesso di difesa della posizione, di protezione delle loro vite e di salvaguardia di quelle dei loro compagni per tornare, insieme, a combattere. Forse, questa visione di unità e questa condivisione di una sorte comune erano il vero segreto delle tante battaglie vinte dai Romani.
Davvero, oggi, abbiamo necessità dell’aiuto dei ‘triarii’.
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