“È evidente – è il parere di Ricciardi – che la strategia di convivenza col virus, adottata finora, è inefficace e ci condanna alla instabilità, con un numero pesante di morti ogni giorno. Ne parlerò col ministro Speranza questa settimana”. Il consigliere del ministro non ha fatto cenno alla questione delle varianti del Covid, ma è chiaro che l’aumento dei contagi risente della diffusione di queste ultime in tutte le fasce della popolazione.
Venerdì l’Iss aveva spiegato che al momento la variante inglese rappresenta il 17% dei casi registrati in Italia, una percentuale che porterà nel giro di “5-6 settimane” ad essere il ceppo prevalente, l’avvertimento del presidente dell’Istituto Silvio Brusaferro.
Anche per questo fattore, a sentire Ricciardi ogni possibilità di assembramento va assolutamente evitata: “Non sono compatibili con il contrasto alla pandemia da Covid-19 in Italia ed gli impianti da sci rientrano in tali attività. Non andrebbero riaperti. Non dimentichiamo – ha sottolineato Ricciardi – che la variante inglese è giunta in Europa proprio ‘passando’ dagli impianti di risalita in Svizzera”.
È lo stesso monito che arriva dal Comitato tecnico scientifico alla luce delle “mutate condizioni epidemiologiche”. Allo stato attuale, spiega il Cts, “non appaiono sussistenti le condizioni per ulteriori rilasci delle misure contenitive attuali, incluse quelle previste per il settore sciistico amatoriale”, la risposta del Comitato alla richiesta del ministro della Salute di “rivalutare la sussistenza dei presupposti per la riapertura” dello sci, “rimandando al decisore politico la valutazione relativa all’adozione di eventuali misure più rigorose”.
La nuova analisi del Comitato tecnico scientifico, che lo scorso 4 febbraio aveva dato il via libera allo sci in zona gialla seppur con una serie di limitazioni (vendita degli skipass contingentati e impianti al 50%), scaturisce dallo studio condotto dagli esperti dell’Istituto superiore di sanità, del ministero della Salute e della Fondazione Bruno Kessler proprio sulla diffusione delle varianti del virus in Italia. Un’analisi condotta in 16 regioni e province autonome dalla quale è emersa la presenza delle varianti nell’88% delle regioni esaminate, con percentuali comprese tra lo 0 il 59%. Alla luce di ciò lo studio raccomandava di “intervenire al fine di contenere e rallentare la diffusione, rafforzando e innalzando le misure in tutto il Paese e modulandole ulteriormente laddove più elevata è la circolazione, inibendo in ogni caso ulteriori rilasci delle attuali misure in atto”.
Rispondendo a Speranza, gli esperti sottolineano innanzitutto che la situazione epidemiologica “rimane un presupposto fondamentale” per poter procedere alle riaperture e che in ogni caso ogni azione “va valutata con cautela rispetto al possibile impatto” sui territori. Anche perché le misure previste per le zone gialle “dimostrano una capacità di mitigare una potenziale crescita dell’incidenza ma non determinano sensibili riduzioni” che, invece, si osservano nelle zone arancioni e rosse. C’è poi da tener conto di altri due fattori: la ripresa della scuola in presenza, il cui “impatto andrebbe monitorato prima di valutare ulteriori rilasci”, e, appunto, la presenza delle varianti del virus che, dice lo studio, stanno provocando una nuova crescita dell’epidemia, “con un impatto sostenuto sui sistemi sanitari”.
Fonte IlFattoQuotidiano.it