Non a caso è il primo provvedimento in tema di lavoro che i sindacati si aspettano dal nuovo governo, insieme alla proroga della Cig-Covid (a oggi hanno ricevuto il pagamento diretto dall’Inps più di 3,6 milioni di lavoratori, mentre più di 3,4 milioni hanno ricevuto la cig anticipata dalle aziende e poi subito dopo conguagliata dall’Inps). Arrivare fino all’estate con i sostegni esistenti (cassa integrazione e blocco dei licenziamenti) è una delle ipotesi cui l’esecutivo sta lavorando
“È impossibile fare una stima dei posti di lavoro che salterebbero in caso di mancata proroga al blocco dei licenziamenti – spiega all’AGI Francesco Seghezzi, presidente della Fondazione Adapt – il problema è che da un lato non sappiamo quante imprese decideranno di andare avanti con la cassa integrazione per non perdere le competenze costruite in questi anni e quante sono queste persone che le aziende considerano fondamentali e che non vogliono perdere”
“Dall’altro lato – prosegue Seghezzi nel ragionamento – non sappiamo quante sono le aziende piccole che hanno completamente bruciato le loro offerte di mercato e che non possono fare altro che chiudere, anche se secondo me non sono tantissime perché oggi sarebbero già fallite probabilmente. Mettendo insieme questi due temi capiamo che la cosa è davvero troppo vasta”
“Dobbiamo anche considerare – continua l’economista – tutte quelle imprese, molte delle quali si trovano in Nord Italia, che sono incastonate nelle catene del valore che vanno con la Germania e con altri Paesi europei, per le quali quindi ora è tutto fermo ma vi è certezza che una ripartenza ci sarà”
Seghezzi ribadisce: “È troppo difficile dare un numero, ma posso dire con certezza che quando lo sblocco dei licenziamenti arriverà, il problema vero sarà soprattutto nei servizi, nel turismo e nella ristorazione. In quei posti cioè che hanno già esaurito tutti i contratti a termine e non li hanno rinnovati. Credo che molti hotel e ristoranti stiano aspettando l’estate per provare a ripartire e senza un’altra proroga per parecchi quelli a venire saranno mesi più complicati”
Secondo una nota della Banca d’Italia, senza le misure adottate per affrontare gli effetti della pandemia, il Covid-19 avrebbe potuto causare 200.000 licenziamenti in più rispetto ai 500.000 legati a motivi economici che già si sarebbero verificati nel 2020 (in linea con l’anno precedente, quando c’erano state anche 1,3 milioni di assunzioni stabili)
Considerando i 100.000 licenziamenti economici avvenuti nel privato fra gennaio e metà marzo 2020, le prime stime degli economisti di via Nazionale indicano che l’estensione della Cig, il sostegno alla liquidità delle imprese e il blocco dei licenziamenti abbiano impedito l’anno scorso circa 600.000 recessi
A cavallo tra ottobre e novembre, l’Istat ha effettuato la seconda indagine rapida sulla situazione e prospettive delle imprese nell’emergenza sanitaria, rivolta alle aziende con almeno 3 addetti. Si tratta di circa un milione di imprese, con oltre 12 milioni di addetti che, nel complesso, rappresentano quasi il 90% del valore aggiunto e circa tre quarti dell’occupazione complessiva delle imprese industriali e dei servizi. Dall’indagine è emerso che le aziende più in crisi sono quasi 292.000 e, attualmente, danno lavoro a quasi 1,9 milioni di addetti
Di situazione “esplosiva” parla anche il Cnel nel suo Rapporto annuale, in cui ricorda che la pandemia ha colpito 12 milioni di lavoratori tra dipendenti e autonomi, per i quali l’attività lavorativa è stata sospesa o ridotta, in seguito al lockdown. Tutti questi soggetti sono stati interessati dall’erogazione di prestazioni di sostegno al reddito
A questi si aggiungono 733.611 beneficiari dell’assegno ordinario a carico del fondo bilaterale per l’artigianato, 408.608 beneficiari dell’assegno ordinario a carico del fondo bilaterale per i lavoratori in somministrazione, oltre a 4.352.000 lavoratori inclusi nel sistema speciale di protezione sociale con i decreti-legge contenenti norme di contrasto agli effetti dell’emergenza
E poi 3.259.000 autonomi, professionisti e collaboratori, 250.000 stagionali, 554.000 lavoratori agricoli, 41.000 lavoratori dello spettacolo, 31.000 lavoratori intermittenti, 5.000 lavoratori autonomi occasionali e venditori a domicilio, 212.000 lavoratori domestici
Solo nel 2020 hanno perso la propria occupazione 208.000 autonomi, tra imprenditori, professionisti e collaboratori. A lanciare l’allarme è la Confesercenti, che ha chiesto al governo politiche attive e di riconversione mirate al lavoro autonomo
Ma anche sostegni efficaci per evitare che le attività continuino a chiudere: se continua così, per la Confederazione circa 450.000 imprese rischiano di sparire a causa della pandemia. Nel dettaglio, i lavoratori in proprio e gli imprenditori sono calati nel periodo di 80.000 unità, collaboratori e coadiuvanti di 74.000, i liberi professionisti di 50.000