Conosciuta anche con i nomi di “sindrome post-COVID-19” o “postumi della COVID-19 a lungo termine”, essa si caratterizza per sintomi persistenti che possono essere evidenti anche 6-7 mesi dopo il contagio: astenia, fatica cronica, “nebbia cerebrale”, difficoltà respiratorie, dolori articolari e muscolari, dolore al torace e mal di testa sono solo alcuni di quelli più comuni, ma ce ne sono anche diversi altri non ancora pienamente analizzati e valutati dagli esperti.
Fra essi figura anche la perdita dei capelli, che è stata segnalata da quasi un quarto dei pazienti COVID dimessi da un ospedale cinese, come mostra un nuovo studio. A condurlo è stato un team di ricerca guidato da scienziati del National Center for Respiratory Medicine dell’Ospedale dell’Amicizia Cina-Giappone di Pechino, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Dipartimento di Medicina dell’Ospedale Jin Yin-tan di Wuhan (la metropoli da cui il coronavirus SARS-CoV-2 si è diffuso nel mondo); dell’Istituto di Biologia dei Patogeni dell’Accademia Cinese delle Scienze; del Peking Union Medical College; della Scuola di Medicina dell’Università Tsinghua e di altri centri di ricerca. Gli studiosi, coordinati dal professor Bin Cao, medico presso il Dipartimento di Medicina polmonare e di Terapia intensiva del nosocomio di Pechino, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver coinvolto nell’indagine oltre 1.700 pazienti COVID dimessi dall’ospedale di Jin Yin-tan, tra il 7 gennaio 2020 e il 29 maggio 2020.
In principio i partecipanti erano quasi 2.500, ma in 700 sono stati esclusi poiché ritenuti inidonei. Il professor Bin Cao e i colleghi hanno chiesto ai partecipanti di rispondere a questionari ad hoc per elencare tutti i sintomi sperimentati ad almeno 6 mesi di distanza dalle dimissioni, ma sono stati anche sottoposti a esami del sangue e a test del cammino di 6 minuti, per valutare la resistenza e l’efficienza cardiopolmonare.
Incrociando tutti i dati è emerso che i pazienti, con un’età media di 57 anni e per il 52 percento uomini, sperimentavano soprattutto i seguenti sintomi: stanchezza o debolezza muscolare (63 percento); difficoltà a dormire (26 percento); ansia o depressione (23 percento) e perdita dei capelli (22 percento).
Secondo gli esperti la perdita di capelli non è un sintomo inconsueto dopo aver sperimentato una malattia infettiva alla stregua COVID-19, tuttavia alcuni ritengono che la perdita dei capelli in questo caso possa essere persino definitiva. Non è chiaro se il coronavirus SARS-CoV-2 scateni una risposta autoimmune verso i follicoli piliferi, rendendoli incapaci di produrre capelli a tempo indeterminato.
Come spiegato in precedenza dalla professoressa Bianca Maria Piraccini della Scuola di Specializzazione di Dermatologia e Venereologia presso l’Università degli studi di Bologna, oltre il 30 percento delle persone che contrae la Covid-19 “riporta una copiosa caduta di capelli, abbondante, fatta di intere ciocche perse”.
I pazienti perderebbero dai 100 ai 200 capelli al giorno, una condizione che gli scienziati chiamano “telogen effluvium acuto”, ovvero la forma di alopecia più diffusa dopo quella androgenetica. In parole semplici, nel telogen i follicoli piliferi entrano nella “modalità riposo” e non producono più nuovi capelli. La condizione può durare fino ai 9 mesi, in base a quanto indicato dall’American Academy of Dermatology (AAD), tuttavia le tempistiche relative alla COVID-19 sono ancora da definire.
Del resto, qualunque tipo di evento altamente traumatico (anche solo psicologico) può innescare la caduta dei capelli, e la pandemia che stiamo vivendo ha colpito profondamente non solo sotto il profilo sanitario, ma anche dal punto di vista sociale ed economico, causando un significativo deterioramento della salute mentale.
Al momento la certezza è che una percentuale significativa di pazienti COVID va incontro alla perdita di capelli, il cui meccanismo biologico alla base deve essere ancora pienamente compreso. I dettagli della ricerca “6-month consequences of COVID-19 in patients discharged from hospital: a cohort study” sono stati pubblicati sull’autorevole rivista scientifica The Lancet.
Fonte: scienze.fanpage.it