L’ Italia, in particolare dagli anni Novanta in avanti, ha vissuto forme di egemonia sottoculturale e di smobilitazione cognitiva, che nell’ultimo periodo si è arricchita della retorica “dell’uno vale uno” (i cui disastrosi effetti sono sotto gli occhi di tutti).
Il principio secondo il quale la competenza resta un elemento fondamentale per ricoprire posizioni di vertice è rimasto sotto l’attacco del populismo mediatico e della rete.
Con questo non voglio affatto difendere quanto è avvenuto sul finire della Prima Repubblica e negli anni della retorica berlusconiana, voglio solo evidenziare che anche in quegli anni non era controverso il principio secondo il quale per lo meno un minimo di competenza era pretendibile da chi avrebbe dovuto ricoprire incarichi di rilievo.
Tanto ora scrive uno, come me, che non ha mai ricevuto un incarico pubblico in quaranta anni di vita lavorativa, e se agli inizi di questo secolo sono stato indicato (sempre a titolo gratuito) in qualche commissione di riforma è solo perché, già a quel tempo, avevo pubblicato circa 130 articoli e scritti su riviste scientifiche italiane e straniere, 5 monografie, voci enciclopediche ed avevo partecipato come relatore ad oltre 40 convegni.
Per altro, sono vissuto in tutti questi anni a Salerno, in un contesto in cui l’appartenenza vale sicuramente più della conoscenza e della competenza. Tutto questo, però, non mi ha mai indotto ad aderire, come hanno fatto molti colleghi beneficiati dal “regime”, alle narrazioni del populismo, che ha esibito l’ignoranza come sinonimo di schiettezza, onestà e vicinanza al popolo.
Vi chiedo di perdonare questa digressione su questioni personali, ma credo che oggi la nuova questione morale risieda proprio nello sconfiggere definitivamente la dittatura dell’ignoranza, intesa come pensiero dominante fondamentalmente ostile alle competenze e al merito (consiglio di leggere un bel libro “Sotto il segno dell’ignoranza”, edito da Egea) .
Proprio per questo ritengo che coloro i quali – ed hanno un nome ed un cognome – hanno iniettato nelle vene del Paese il virus del valore dell’ignoranza, non sono credibili quando, per pure esigenze di tattica politica, oggi abbracciano improvvisamente il valore della conoscenza e della competenza. Il guitto resta sempre guitto, anche nella tragedia (per citare Bertolt Brecht) !!
Bisogna chiedersi, però, al netto dell’implodere del populismo, quali siano le altre ragioni che hanno portato alla instaurazione di questo “ regime a-cognitivo”, e provo ad elencarle rapidamente: a) il cambiamento del modello “famiglia”, diventato troppo permissivo e “comprensivo”, sino a deresponsabilizzare i propri componenti; b) l’affermazione del paradigma di una “società senza padre”, in cui non si rinvengono figure autorevoli idonee ad assurgere “a modello”; c) l’impoverimento culturali di settori considerevoli delle classi dirigenti e la palese assenza di visione; d) la deriva della generazione post-sessantottina, che ha comportato l’ affermazione di un individualismo sfrenato e autogiustificato; e) la mercificazione dell’istruzione superiore e universitaria, con la diffusione di “false” scuole o università cui iscriversi per conseguire immediatamente il titolo; f) la concezione dello studente come un “cliente”, da soddisfare in ogni caso anche in condizioni di persistente ignoranza (le Università, ad esempio, ricevono tanti più finanziamenti statali quanto più alto è il numero degli studenti che conseguono la laurea nei tempi previsti !!); g) l’invadenza, senza limiti, della giustizia amministrativa che, ormai, si sostituisce, con giudizi assai fantasiosi basati su interpretazioni di cavilli e codicilli, alle valutazioni sulle competenze, sulla preparazione culturale e scientifica, sui curricula (a questo punto, provocatoriamente, propongo di affidare ai TAR le promozioni degli studenti e la stessa progressioni in carriera dei professori !!); h) la perdita di importanza dell’istruzione pubblica, pilastro su cui è stata costruita la democrazia nel nostro Paese.
Non oso immaginare quali effetti devastanti potranno derivare dalla generazione DAD, con l’ impatto assolutamente negativo che la didattica a distanza ha sulla formazione cognitiva delle nuove generazioni.
Se questo è il quadro che abbiamo di fronte, bisogna innanzi tutto convincersi che la nuova questione morale resta oggi la difesa della conoscenza, e su questa linea di trincea difendere la democrazia e il futuro del Paese.
Giuseppe Fauceglia