Covid, Michele racconta la sua esperienza: “Dolore così forte da strapparti il petto”

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Michele Cannavacciuolo è uno dei residenti del piccolo borgo di Ticciano, frazione di Vico Equense, una delle perle della nostra Costiera che nelle scorse settimane è stata zona rossa a causa di un focolaio Nuovo Coronavirus.

Michele ha avuto il Covid e racconta come ha vissuto questo periodo di malattia affidando a Fanpage.it un lungo e dettagliato racconto. Dalla diagnosi alle cure fino alla rabbia nel vedere medici e infermieri operare in strutture inadeguate. Riceviamo, dunque, e volentieri pubblichiamo il racconto di un uomo che è uscito dall’inferno del Covid.

Posso dire che sono un sopravvissuto! E qui vorrei portare una testimonianza dal vivo di quello che è in realtà il COVID-19, come viene combattuto negli ospedali, come viene vissuto dal contagiato. È un calvario che comincia in maniera subdola, con i sintomi dell’influenza, poi man mano la febbre, dolori alle articolazioni, ai nervi, alla testa e la cosa più orribile la fame d’aria che aumenta. Apri la bocca e non entra niente. Vorresti strapparti il petto!

Poi una mattina si presenta a casa mio un giovane medico, dott. Alfonso Esposito dell’USCA, proveniente da Gragnano; appena constatata le mie condizioni, mi impone il ricovero urgente in un ospedale. Si mette in contatto con il 118 per un urgente soccorso – quel giorno la mia saturazione
oscillava tra 75 e 85 (la condizione ottimale è da 90 in poi) – dalla centrale avvisano che l’unica ambulanza è senza medico e non predisposta per il COVID. Allora il dott. Esposito si è offerto di accompagnarmi lui stesso al pronto soccorso di Sorrento.

Io non ho mai chiamato l’USCA (primo “miracolo”).

Una volta giunti all’ospedale di Sorrento è cominciata una lunga diatriba tra il medico dell’USCA e il responsabile del P.S. che inizialmente si è rifiutato di soccorrermi. Dopo qualche ora, durante le quali il dott. Esposito ha minacciato di chiamare i carabinieri, finalmente sono stato ricoverato.

In una sorta di garage senza porte, un bagno praticamente inutilizzabile, sporcizia un po’ ovunque, mancanza di mobilio: un letto, una sedia e basta; una situazione al limite dell’abitabilità. Comunque hanno cominciato immediatamente a prendersi cura di me: ossigeno, esami del sangue, indagini a tappeto, tra cui alcune dolorosissime come il prelievo per emogas arteriosa (dal polso).

Comincio presto a reagire.
Da Sorrento, dopo un paio di giorni, vengo trasferito all’ospedale di Boscotrecase (secondo “miracolo”), e qui ho avuto netta la percezione di essere curato per ciò che avevo: ossigeno, immediate indagini strumentali ed analisi, visite specialistiche. Inizio qui cure a tappeto e monitoraggio continuo con utilizzo di tecnologie modernissime. In questo ospedale ho capito che cos’è la sanità pubblica.

Ho trovato da parte di tutti – medici, infermieri, personale socio sanitario – una dedizione assoluta ai pazienti. Intabbarrati nelle loro tute di plastica con tre paia di guanti, occhiali, maschera, doppie mascherine, non ho mai sentito o notato un gesto di insofferenza o altro; hanno sempre mostrato competenza, spirito di sacrificio, instancabilità, delicatezza, gentilezza. Ho visto pulire e lavare malati allettati con amore e disponibilità, convincendomi che neanche un figlio avrebbe fatto questi gesti.

Ma la cosa che più mi ha colpito è stata l’umanità che mettevano in ogni parola ed in ogni gesto. Di questi angeli si vedono solo gli occhi, vestono tutti allo stesso modo, indistinguibili ma con una caratteristica comune , il sorriso sempre! Un comportamento che credevo estinto.
Ho passato momenti estremi, una ipotermia mi ha portato vicino alla fine. Ebbene tutti, indistintamente, mi sono stati vicino. Quando poi la crisi, grazie a loro, è stata superata, tutti sono passati a mostrarmi vero affetto e amicizia. Commovente!

Penso che la tecnica di lavoro si impari con l’esperienza e con gli anni, ma una dote è insita nell’animo: l’Umanità, e ognuno di questi giovani angeli ne ha tanta da riempirne una miniera. Alcuni di loro volontari, venuti da altri ospedali perché c’è necessità di aiuto.

Questo mostro esiste e fa male, malissimo, uccide! Vorrei che tutti quegli imbecilli che si ostinano a negarlo andassero a farsi un giro in uno di questi reparti, senza fare niente, guardando le persone a pancia sotto per ore, senza potersi muovere, gli intubati immersi in un sonno artificiale; la febbre che fa saltare sul letto come indemoniati. Le braccia segnate da segni profondi, l’impossibilità di trovare una vena utile per inserire la flebo e prelievi infiniti.

Penso che gli ospedali siano un inferno oggi e quello di Boscotrecase non è da meno, ma è un inferno abitato da angeli che con leggerezza non fanno mancare mai la loro presenza, una parola di conforto, un sorriso, magari stanco, ma sempre gentile. Quando dopo 5 tamponi positivi sono poi arrivati i 2 tamponi negativi è stata una festa per tutti!
Finalmente avevano sconfitto questo verme, almeno per ora. Spero per sempre!

Quando sono stato dimesso e sono uscito dalla stanza per tornare a casa, forse ho vissuto il momento più commovente: tutti, e dico tutti, mi hanno salutato con un affetto infinito. L’infermiera che mi ha accompagnato all’uscita, abbracciandomi quasi piangendo mi ha detto: “lei è il primo che vedo uscire sulle proprie gambe”; dagli occhi si vedeva che era una giovane donna ed ho pianto in modo silenzioso. In quel momento si sono sciolte tutte le paure, il dolore che ho provato in un mese è sparito grazie ad un ospedale che fa Sanità vera.

Certo si sono mostrate delle pecche, errori negli appalti, ma fatti certamente non dai medici. Non ho molto ma un grazie immenso a queste donne e a questi uomini che non solo mi hanno aiutato a guarire ma soprattutto mi hanno dato la speranza di rivedere i miei cari e di pensare che questo mondo può avere un futuro grazie a loro.

Vorrei incontrarli uno ad uno, appena possibile, per un virtuale abbraccio ed un immenso grazie!
Dal dott. Esposito che mi ha preso per i capelli e mi ha tirato fuori dal fosso, alle infermiere di Sorrento che da sole hanno cercato in qualche modo di sopperire ad una situazione precaria e a volte non umana di trattare i malati, agli angeli di Boscotrecase che mi hanno ridato la fiducia nella vita.

Ricordo a tutti che non siamo appestati. Siamo malati da curare! I veri appestati sono gli untori che fregandosene degli altri continuano con sufficienza ad uccidere i propri genitori ed i propri nonni. E la cosa peggiore sono quei soloni che invece di stare nei reparti a curare la gente, ammorbano i media con la loro presenza continua ed instancabile. I veri medici sono quelli che vi ho appena descritto ed è a loro che non mi stancherò mai di dire grazie!

Adesso vorrei dire qualche parola su quello che è successo nel mio paese. La mia famiglia è stata la prima ad allertare il medico curante a seguito dei fastidi che stavamo avendo; è stata immediata la risposta dell’ASL, facendoci il tampone in tempi stretti. Prima ancora di avere i risultati dei tamponi, abbiamo pensato ad avvertire tutte le persone con cui avevamo avuto contatti nei giorni precedenti i sintomi e lì si è scatenata la corsa ai controlli, soprattutto da parte di chi, pur avendo sintomi sospetti da giorni, non aveva esitato a uscire e girare per case e strade, portando il virus in giro con sé.

Visto il numero alto di positivi, il sindaco non ha esitato nel dichiarare la zona rossa, a predisporre insieme all’ASL il tampone per tutta la cittadinanza, bisogna dare atto, se si vuole avere una versione veritiera delle cose, al sindaco e al dottore Imperatore dell’ASL di essersi mossi con velocità, considerata la situazione generale. Chi ha mancato sono stati i soliti noti che, inserendosi in modo poco chiaro nella vicenda e screditando le istituzioni (Sindaco e ASL), in modo affaristico hanno creato un danno ai cittadini impauriti, spalleggiati dalle forze dell’ordine che non hanno fatto opposizione a quella che si è dimostrata essere una truffa, evidente e grave!

Ma ormai è chiaro che Vico Equense è nella stretta di personaggi il cui domicilio dovrebbe essere un solido carcere. Ai media faccio una preghiera, date parola a chi ha vissuto sulla propria pelle gli effetti nefasti del mostro. Per far riflettere un po’ gli untori dell’aperitivo al bar o dei bagni novembrini.

Fonte FanPage.it

 

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