“Il nostro 8 marzo, scarpette rosse anche per le donne africane” di Ketty Volpe

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«Vorrei avere cent’anni con alle spalle queste lunghe ore di pandemia, il sole rubato da dietro i vetri e la vita fuori. L’agenda nelle pagine bianche di un anno e più. Vorrei avere vent’anni con un futuro alle spalle e lo sguardo lungo dell’età per affrontare l’oggi dei giorni di questa pandemia. Vorrei uscire a riveder le stelle come un tempo solo ieri e rincorrere le mie aurore e i colori delle stagioni sul lungomare. Ubriacarmi di sole e di luna e girarmi a guardare senza bussola gli orizzonti diversi.

Unire i colori e mischiare le carte. Ordinare le parole. Ripulirle dalla violenza. Vorrei saper leggere sottotitoli di quel tutto e niente che capita vivere ogni giorno e ascoltare le voci del silenzio. Le voci silenziate dalle mascherine. Le parole senza ossigeno strette in bocca, chiuse per sempre da mani d’amore falso forte e violento. Vorrei dare la voce. Voce umana.

E carezze mancate e mai date a madri e figli persi tra dune e deserti, sopravvissuti a traversate, smarriti tra gente nuova, ritrovati tra lamiere senza cessi, senza cibo e senza tetto. Nere d’Africa senza scarpe, offese, vilipese, violentate, stuprate, comprate, vendute e scarpe rosse di donne disperatamente sole freddate da cuori accesi da gelosa gelosia e bramoso potere di possesso. Ingordi famelici di femmine da ferire e lentamente finire. Donne amate per finta, abbandonate, lasciate.

Tradite. Riprese. Ingannate. Zittite scalze. Finite così. Sfiorite tra mimose in fiore, bucanevi al sole e ranuncoli da poco sbucati. Alle pareti quadri di donne. Sono storie di vita finita. Ritratti con firma d’autori ignobili. Narrano di strani amori molesti e di amori molestati. Raccontano quel che si ripete in ogni dove, oggi come ieri. Domani no. È di nuovo il giorno delle mimose. Salutano così l’8 marzo da più parti.

Un altro giorno con le scarpe rosse. E sul barcone piccole donne d’Africa scalze, assetate, riscaldano con l’alito neonati venuti al mondo sulle acque del mediterraneo. Piccole donne d’Africa stuprate in Libia che, con bambini tra le braccia, continuano ad essere violentate per mare e per terra. Anche qui. Senza rispetto.

Per tantissime. Calzerò scarpe rosse per loro. Per le donne d’Africa dimenticate. Per le donne d’Africa che muoiono di pandemia, sopravvivono, muoiono di sete. Per le donne d’Africa che nessuno sa. Per le donne d’Africa che vendono ninnoli e portano figli in petto e in spalla, (indossano bambini -baby wearing) avvolti in panni di cotone tunisino».

di Ketty Volpe dal sito focusonafrica.info

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