Mi riferisco alla sconcertante vicenda del vaccino AstraZeneca, con l’interruzione improvvida della campagna vaccinale (premetto che come professore universitario ultrasessantenne ho ricevuto il vaccino AstraZenica), e all’assoluzione, dopo oltre dieci anni di processo, dell’amministratore delegato dell’Eni, Claudio Descalzi, e del suo predecessore, Paolo Scaroni, dall’accusa di corruzione internazionale.
Entrambi gli episodi sono la manifestazione evidente della crisi generale della politica, a livello europeo, per quanto riguarda il primo, e a livello italiano, per quanto riguarda il secondo.
Il pericoloso blocco del vaccino nasce da un paradosso vero e proprio della democrazia, ovvero quello di assicurare la trasparenza nelle scelte politiche. Solo che oggi le informazioni circolano in modo così rapido ed incontrollato, sono il frutto di politiche aggressive di concorrenti industriali o di potenze straniere, finendo in tal modo per creare un vero e proprio corto-circuito valutativo tra Stati nazionali, Unione Europea, Agenzie scientifiche e Autorità sanitarie.
Un vero e proprio caos, destinato ad aumentare, allorquando sono in gioco la vita e la morte, la salute e la sicurezza, finendo, poi, raggiunto un livello appena apprezzabile di diffusione (con i Giletti di turno) per intrappolare la politica e per paralizzarla.
Di fronte alla tragedia che stiamo vivendo, la democrazia dovrebbe, invece, esprimere tutta la sua autorevolezza, offrire all’opinione pubblica risposte serie ed inequivoche che non diano luogo ad incertezze.
L’onda dei NO-VAX, dei populisti all’amatriciana arrivati al governo del Paese, l’indisciplina delle generazioni della didattica a distanza e la loro sempre più evidente “a-cultura”, finisce per favorire il progressivo deteriorarsi del tessuto collettivo della democrazia e delle sue scelte (che, per natura, non possono soddisfare tutti, ma debbono essere orientate a tutelare la salute dell’ assoluta maggioranza dei cittadini).
Il secondo episodio, non isolato nel panorama della nostra disastrata giustizia, è la manifestazione di un potere giudiziario, cresciuto senza controlli, che mette in pericolo le basi dell’economia del Paese (di sovente appesa ad indagini di una Procura o a qualche sentenza o ordinanza di un TAR).
Grazie a queste inutili iniziative, l’Italia ha perso importanti investimenti dell’Eni in Algeria e in Nigeria, con tutte le conseguenze che pesano sul futuro dei nostri giovani ( come tanti da voi lettori, anch’io ho un figlio costretto ad emigrare per lavoro, dopo aver seguito un corso di studi in Inghilterra).
I processi all’ ENI finiscono per “girare” il mondo, avvalorando un modello tutto “pizza e mandolino”, con tangentari perseguiti dai pubblici ministeri osannati dalle folle inferocite da invidia sociale: una vera e propria manna per i Paesi e le grandi imprese concorrenti. Su questo argomento la politica è da decenni stata assente, non affrontando il vero nodo del blocco del sistema, che resta la riforma dell’ Ordinamento Giudiziario (e non le inutili e risibili riforme dei riti).
In questo contesto, mi sarei aspettato dal nuovo Segretario del PD una risposta, omettendo di trincerarsi dietro al solito ius soli o al voto dei sedicenni, per affrontare, invece, il vero problema: pensare ad un riformismo capace di ricostruire il sistema paese. Mi rendo conto che non si può ricavare olio dalle pietre !!!. Come scriveva Pietro Scopola, il riformismo nel nostro Paese più che espressione di grandi e forti tradizioni politiche è stato un fatto di èlites illuminate.
Di fronte a questa cruda realtà, si comprende perché questo PD finisca, nel tentativo di sopravvivere nell’elettorato e al potere, per appiattirsi al nulla delle proposte del para-populismo “evolutivo-apparentemente-dialogico”. Nel mentre, il presente resta una specie di fusione fredda tra neoliberismi, capitalismo di Stato e giustizialismo, la vera miscela del declino sudamericano.
Giuseppe Fauceglia