Così Alessandro Perrella, infettivologo dell’Ospedale Cardarelli di Napoli e membro dell’Unità di Crisi regionale per il covid19 descrive all’ANSA i giorni di massima pressione della terza ondata del virus in Campania con i reparti quasi pieni del suo ospedale ma anche del Cotugno, dell’Ospedale del Mare, del San Giovanni Bosco e del Loreto Mare, tutti ospedali in prima linea sul virus.
“In questi giorni – spiega Perrella – abbiamo richieste maggiori di soggetti per cure in ospedale, non significa pazienti in fin di vita ma a cui serve un trattamento di livello superiore, con analisi come la tac. E’ in rialzo anche la necessità di terapia subintensiva, è una fase che stiamo gestendo bene anche grazie a una buona codificazione delle dimissioni con terapia a casa che sta funzionando, infatti abbiamo molto raramente secondi ricoveri, cioé pazienti che tornano.
In questi mesi abbiamo sviluppato diagnosi precoci con schemi terapeutici per evitare la degenerazione. Abbiamo creato un algoritmo che valuta per ogni soggetto la carica virale e la sintomatologia clinica, valuta se si può controllare e quindi dimettere con una terapia da seguire a casa. Mandiamo tutto il fascicolo al medico di base segnalando anche i giorni di controlli previsti dopo la dimissione.
E’ stato uno studio prezioso che ci permette di liberare con efficacia i posti letto e rispondere ai nuovi arrivi”. Mentre si proseguono i vaccini, resta quindi la lotta in ospedale contro il virus: “Non esistono – ricorda l’infettivologo – terapie efficaci se non il vaccino. Gli anticorpi monoclonali sono per soggetti non ospedalizzati perché frena l’ingresso virus nelle cellule e quindi evitano il peggioramento. Un anno ci ha aiutato a gestire meglio il supporto dei malati, con terapie che non bloccano il virus ma ne limitano gli effetti secondari, come gli steroidi e i cortisonici.
Ad esempio sappiamo che il desametasone funziona più di altri steroidi nell’associazione con gli antifiammatori fans”. Migliorano le terapie nelle corsie in cui si abbassa l’età media: “Ci sono persone più giovani – conferma Perrella – che arrivano al pronto soccorso del Cardarelli, ma l’età media resta alta, oggi ci aggiriamo tra 60 e 65 anni prima erano più gli over 65. C’è un piccolo aumento di pazienti che pensano di venire prima in ospedale per evitare un peggioramento ma in generale la maggior parte quando viene ha già una sintomotalogia importante”