Una sentenza accolta dalle organizzazioni di medici e infermieri che sottolineano come, tuttavia, coloro che hanno detto ‘no’ al vaccino nelle due categorie rappresentino una ristrettissima minoranza. Il giudice di Belluno Anna Travia ha dunque respinto le richieste di due infermieri e otto operatori sociosanitari che avevano rifiutato di sottoporsi alla somministrazione della dose vaccinale lo scorso febbraio e che per questo erano stati sospesi dal lavoro.
I dieci sanitari, dipendenti di due case di riposo del Bellunese, all’indomani del rifiuto erano stati messi in ferie forzate dalla direzione delle rsa e sottoposti alla visita del medico del lavoro. Il medico aveva dichiarato i sanitari «inidonei al servizio» permettendo così che venissero allontanati dalle loro attività senza stipendio.
Gli operatori no vax avevano però fatto ricorso in Tribunale sostenendo che la Costituzione dà libertà di scelta vaccinale, ma il giudice ha ritenuto «insussistenti» le ragioni dei ricorrenti. In realtà, solo circa l’1-2% dei medici ospedalieri – vale a dire tra 1.140 e 2.280 su un totale di 114.000 attivi – e un centinaio di infermieri dipendenti Ssn su un totale di 254mila hanno ad oggi rifiutato la vaccinazione, secondo la stima fatta all’ANSA dal maggiore sindacato dei medici ospedalieri, l’Anaao-Assomed, e dalla Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi).
Va dunque sottolineato, rilevano il segretario Anaao Carlo Palermo e la presidente Fnopi Barbara Mangiacavalli, che la grandissima maggioranza sia dei medici ospedalieri sia degli infermieri si è immunizzata. La vaccinazione del personale sanitario «serve a tutela di chi è più debole e più fragile per età o stato di salute.
Se c’è un rifiuto – spiega Palermo – il lavoratore può essere destinato ad altre mansioni che non comportino un rischio aumentato. Nel caso questa possibilità fosse preclusa, il lavoratore può essere posto in aspettativa senza stipendio fino alla regressione del rischio».
Quanto agli infermieri, rileva Mangiacavalli, «quantificare con esattezza quelli vaccinati contro la pandemia è un’operazione complessa, ma si può stimare che oggi lo siano circa l’85% di tutti gli iscritti agli albi, oltre 454mila. Questo considerando però – precisa – che ci si avvicina al 100% di vaccinati tra gli infermieri dipendenti Ssn, tranne rare eccezioni ‘attendiste’ che sono nell’ordine del centinaio».
La percentuale invece, sottolinea la presidente Fnopi, «si abbassa drasticamente per i liberi professionisti, che non sono stati considerati tra le priorità nelle campagne vaccinali». Quello del vaccino, evidenzia il presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici (Fnomceo), Filippo Anelli, «per gli operatori sanitari che lavorano a contatto con i pazienti non è, o perlomeno non è ancora, un obbligo vero e proprio ma un requisito per svolgere questa attività professionale».
Se infatti, in carenza di una Legge specifica, «nessun cittadino può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario, la Legge 81, per la Sicurezza sul Lavoro, e la Legge 24/2017 per la sicurezza delle cure – spiega – impongono, in situazioni particolari, agli operatori sanitari di vaccinarsi. E questo, sia per la sicurezza dell’operatore sia per la tutela dell’utenza, in particolare dei soggetti più fragili».
Per quanto riguarda la sentenza di Belluno, conclude, «i ricorrenti non erano medici. Ma per i medici, la vaccinazione è anche un dovere deontologico, in quanto hanno il dovere etico di tutelare se stessi e gli altri».
Fonte: LaStampa