Deve allearsi con altri gruppi per formare una maggioranza.
Bibi Netanyahu si rivolgerà anzitutto al partito Yamina di Naftali Bennett, già suo Capo Gabinetto e Ministro e ora avversario. L’alleanza potrebbe allargarsi ai partiti religiosi e persino al partito arabo Raam di Mansour Abbas. Il nuovo venuto della competizione intende appoggiare qualsiasi governo consideri le esigenze della numerosa collettività arabo-israeliana.
Il centro-sinistra arretra in linea generale. La parabola di Benny Gantz è esemplare. Il rivale di Netanyahu alle ultime elezioni, e poi suo sodale nel breve governo di unità nazionale, esce ridimensionato. Lo stare insieme al potere gli ha compromesso le possibilità di rivincita.
Netanyahu può intestarsi la vittoria. Le vicende giudiziarie che lo riguardano non intaccano la sua presa sull’elettorato. Sta vincendo la battaglia della pandemia. Con un’organizzazione mutuata dall’apparato militare, ha vaccinato buona parte della popolazione e liberato le persone alla vigilia del voto. Nel caldo precoce di Tel Aviv le strade e le spiagge si affollano. Torna la moda da noi in triste disuso: andare in giro senza mascherina o con la mascherina abbassata.
Ha derubricato la questione palestinese da affare internazionale a domestico. E’ la tattica del fatto compiuto riguardo agli insediamenti e alle annessioni. Al primo punto ha posto la minaccia esterna a Israele e alle potenze sunnite del Golfo: l’espansionismo dell’Iran. Teheran starebbe per dotarsi dell’arsenale nucleare in violazione del Piano d’Azione del 2015, s’infiltra nei paesi arabi con i movimenti amici e le milizie sciite in Iraq, Siria, Libano, Yemen, Gaza.
Iran e Israele combattono un conflitto a bassa intensità, con scambi di attacchi nel Golfo Persico. Israele mina le navi iraniane con il carico di armi per le milizie sciite, l’Iran lancia un razzo sul mercantile di proprietà d’un armatore di Haifa. Il rischio escalation è alle porte. Lo Stretto di Hormuz è presidiato da una flotta internazionale cui si aggiunge una nave della nostra Marina Militare. In quel tratto passa buona parte delle forniture petrolifere d’Europa.
Il rapporto di Netanyahu con Donald Trump era eccellente. Deve ricostruire quello con Joe Biden, i due si conoscono dai tempi di Barack Obama. Il nuovo Presidente gli ha telefonato solo un mese dopo l’insediamento alla Casa Bianca. A Biden preme ripristinare un rapporto con l’Iran dopo la denuncia del Piano d’Azione da parte di Trump. Teme che Israele reiteri le riserve verso l’accordo sul nucleare e trovi udienza al Congresso di Washington.
Gli Stati Uniti lasceranno l’Ambasciata nella nuova sede a Gerusalemme e proseguiranno nel tessere la rete degli Accordi di Abramo per inserire il partner più pregiato: l’Arabia Saudita. I rapporti con il Principe ereditario si sono raffreddati dopo la pubblicazione del rapporto che lo collega alla morte del giornalista Khashoggi, nel Consolato saudita di Istanbul. Da protocollo, Biden si rivolge al suo omologo a Riad, il Re Salman, e non a Mohammed bin Salman. Questi è l’interlocutore privilegiato di Netanyahu nel Regno.
In Palestina i riflettori sono puntati sulle elezioni presidenziali e legislative in programma a maggio, le prime dal 2006. I sondaggi danno Hamas alla pari se non in leggero vantaggio su Fatah. L’eventuale sua vittoria nell’insieme dei Territori palestinesi complicherebbe il quadro. Parte della comunità internazionale classifica Hamas come organizzazione terroristica.
Il Presidente Rivlin dovrebbe conferire al Likud l’incarico di formare il governo. Netanyahu sarà chiamato all’ennesima prova di creatività e efficienza. Ecco allora che si rivolge a Raam perché entri in partita. Rompe così la tacita intesa fra i partiti ebraici di non condividere le responsabilità di governo con i partiti arabi. Se la mano è perdente, per ribaltare basta cambiare le regole del gioco.
di Cosimo Risi