“Il pozzo è mio, ci diceva sempre, ma l’acqua è di Dio. I vicini la possono prendere quando vogliono. Ricordate che è necessaria per vivere e non deve mai essere negata a chi ne ha bisogno”.
In sostanza, l’acqua del suo pozzo era una ricchezza in comune.
Ciascuno di noi, quando viene al mondo, acquisisce beni in proprietà, attribuiti dalla famiglia, a cominciare dalla casa, se c’è, dai vestiti e dal posto a tavola, e beni in utilizzo, offerti da un unico proprietario che il Nonno, da buon credente, conosceva. Oggi, sembra sia meno noto.
Si tratta di beni che spettano a tutti, in virtù di un ‘diritto di partecipazione’ acquisito proprio con la nascita, perché assicurano la salute fisica e morale, emozionano, divertono, insegnano, sostengono la crescita culturale e spirituale. Non si possono negare, proprio come diceva il Nonno.
Possono essere beni fisici, tra cui l’acqua, i fiumi, i laghi, il mare, l’aria, il sole, il cielo stellato, i parchi, le montagne, le nevi, le memorie storiche; possono essere una universalità di beni, tra cui la fauna e la flora tutelate; possono essere beni immateriali, tra cui le tradizioni, la cultura e, negli ultimi anni, anche le specificità locali riconosciute da organismi universali.
Questa semplice elencazione, però, non può considerarsi né corretta, né esaustiva, poiché non esiste tuttora una precisa definizione dei ‘beni comuni’ e neppure una disciplina specifica. E, quindi, è ben possibile che qualcuno di essi non sia ritenuto tale, pur avendone tutte le caratteristiche, così come che qualche altro sia oggetto di ‘commercio’ con la imposizione di un costo per il consumo, come per l’acqua, o per la fruizione, come per l’accesso alle spiagge in concessione.
Il fatto è che il tentativo di dare certezza alla materia, avviato nel 2007 da un gruppo di lavoro coordinato dal prof. Rodotà, insigne giurista di cui sopravvive, forte, il ricordo, fallì miseramente per la mancata conversione in Legge del progetto presentato nel Febbraio 2008 (fonte: labsus).
Non siamo degni di parlarne in modo ‘scientifico’ ma, rileggendo le carte, possiamo almeno dire che la commissione definì come beni comuni quelli in grado di esprimere “utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona”. Non debbono avere, cioè, una qualità intrinseca, ma debbono essere idonei a soddisfare i diritti costituzionali aggiornati, tempo per tempo, secondo la sensibilità e gli orientamenti di ciascuna Comunità. Ogni utilità, materiale o immateriale, può quindi essere considerata una ricchezza a beneficio di tutti. Anche i raggiunti livelli di benessere, di assistenza e di sicurezza.
C’è di più. Secondo quei giuristi, anche i beni privati possono essere sottoposti a tutela, sia per garantirne la libera fruizione, sia per non compromettere il diritto delle generazioni future, a seguito di richiesta presentata da chiunque fosse portatore di uno specifico interesse. E, chissà che non sia stata proprio questa previsione a decretare la fine del progetto, da taluno ritenuto in aperto contrasto con il libero esercizio di attività private volte a massimizzare lo sfruttamento di qualunque bene.
La Legge, quindi, non c’è, ma la definizione proposta per i beni comuni è divenuta il riferimento di nuove coscienze, frutto di altrettanto nuove sensibilità, che attribuiscono un nuovo significato al viaggio fatto, tutti insieme, su una grande palla che gira vorticosamente nel vuoto. Del resto, ci deve pure essere un motivo se illustri personaggi, arricchitisi con attività speculative, decidono di dedicare i loro ultimi anni al recupero di una dimensione più spirituale. Forse per ‘PENTIRSI’ in tempo utile, se credenti, oppure perché hanno capito che è meglio essere ricordati per la grande umanità che per la grande voracità.
In verità, sarebbe bello che qualcuno lo facesse anche dalle nostre parti, perché non possono essere negate le aggressioni al territorio e all’ambiente, alle risorse idriche e alle memorie storiche, portate da una cultura troppo orientata ad esaltare la supremazia degli interessi personali. Analoghe aggressioni sono portate avanti contro l’identità e le espressioni culturali, nell’ottica di un obiettivo volto ad unificare/uniformare menti e comportamenti.
E, purtroppo, anche nella nostra Città assistiamo al dannoso incremento dell’inquinamento, alla contrazione del verde, a infrastrutture contrarie all’ambiente, alla mancata valorizzazione delle memorie storiche e dei beni culturali, alla chiusura di attività del sapere e del fare, che mettono in pericolo il passaggio del ‘testimone’ alle future generazioni e compromettono il diritto dei cittadini all’aria pulita, al panorama, al sole, a fare un bagno in un mare pulito e, magari, di notte, a vedere le stelle.
Nei giorni scorsi, è stato riproposto il progetto del Polo della Nautica a ‘Capitolo San Matteo’, in fondo alla litoranea, sull’ultima spiaggia libera a disposizione dei tanti cittadini che non possono permettersi luoghi migliori dove fare un bagno. Peraltro, la nuova darsena, del costo stimato tra i 20 e i 25milioni di euro, come pubblicamente dichiarato, e le opere sulla spiaggia, dalla rotatoria della litoranea fino al Picentino, creerebbero un ‘tappo’ nella parte Orientale bloccando ogni possibile ipotesi di collegamento con la litoranea di Pontecagnano che una amministrazione locale più accorta avrebbe già riqualificato in chiave turistica.
Peraltro, si potrebbe anche perdere la Chiesetta nella quale, si narra, trovò momentanea ospitalità il corpo di San Matteo in arrivo da Velia prima del Mille. Anche quella è un bene di tutti, purtroppo in rovina. E che fa!
Così, degli 11 Km del nostro litorale, togliendo le zone non balneabili, quelle occupate da costruzioni e quelle assegnate in concessione, resterebbero solo alcune centinaia di metri di spiaggia libera.
In ogni caso, se pure fosse consentito destinare la spiaggia a usi privati, allora dovrebbe essere riconosciuto ai cittadini un sostitutivo diritto di libero accesso ad una eguale estensione, annullando le concessioni altrove esistenti.
La Comunità deve giustamente pensare al suo sviluppo, ma ha l’obbligo di garantire che esso avvenga nel rispetto dei ‘beni di tutti’ e del ‘diritto di partecipazione’ che spetta soprattutto ai cittadini più deboli e sfortunati, anche a quelli che non hanno una barca per fare il bagno al largo.
Con il pozzo di proprietà, già il Nonno dava l’acqua ai vicini. Lui, probabilmente, non ha avuto bisogno di pentirsi, almeno per questo. E, in verità, qualcuno ancora lo ricorda.
Questa Città ha bisogno di amore e di equità.
e.mail: associazione.iosalerno@gmail.com
pagina fb: Associazione io Salerno
Ancora il capitolo S. Matteo e il polo nautico?? Ogni tanto tirano fuori idee già fallite e che ancora toglierebbero spazi ai cittadini! Comunque, con i costi dei suoli, tutto finirà come la prima volta: Bolla di Sapone!!!!! Vogliono capire che Salerno è morta, nessuno investirebbe mai un solo euro in questa città che sarebbe tutta da rifare ma con gente capace, qualità che non hanno coloro che l’hanno amministrata in questi ultimi trent’anni.
Cominciò Menna a non valorizzare il mare na il cemento sul lungomare orientale…e chest’ è