I risultati, pubblicati sulla rivista Scientific Reports, dimostrano come l’incrocio tra i dati genetici e quelli sull’andamento dei contagi permetta di prevedere l’evoluzione dell’epidemia di Covid-19 come di altre malattie infettive, ad esempio l’influenza stagionale.
Lo studio ha inizialmente preso in considerazione i genomi di 150 ceppi di SarsCoV2 presenti in Asia prima del marzo 2020 e li ha messi in relazione con i dati dell’epidemia e l’indice di trasmissibilità (cioè il numero di nuovi casi contagiati da una persona infetta): è così emerso che l’aumento della variazione genetica del virus preannuncia un’imminente crescita esponenziale dei contagi, come è accaduto per esempio in Corea del Sud a fine febbraio.
Successivamente, i ricercatori hanno fatto la stessa analisi partendo da 20.000 sequenze virali ottenute da campioni prelevati in Gran Bretagna tra febbraio e aprile 2020. Anche in questo caso, l’aumento della variabilità genetica del virus è cresciuta insieme al numero dei contagi.
Quando il governo ha imposto il lockdown nazionale a fine marzo, il numero di nuovi casi si è stabilizzato anche se la variabilità del virus continuava ad aumentare: questo dimostra, si legge nelle conclusioni dello studio, quanto le misure restrittive siano efficaci nel controllare la diffusione del virus anche quando muta.