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Ancora sul caso turco (di Cosimo Risi)

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Lo sgarbo ai danni di Ursula von der Leyen continua a scuotere i media. Si direbbe un buon segno, si parla dell’Unione in termini di orgoglio politico e di parità di genere.

Alcuni punti andrebbero chiariti per evitare il chiacchiericcio sull’offesa alla dignità femminile, una sorta di  #MeToo in salsa turca. La stampa più avvertita (Stefano Folli su La repubblica del 10 aprile) trasferisce il misfatto da Ankara a Bruxelles e, per traslato, alle capitali degli stati membri.

Il triangolo istituzionale Consiglio (dei Ministri) – Parlamento – Commissione esce modificato dal Trattato di Lisbona (2009). L’equilibrio è spostato a vantaggio della componente governativa (Consiglio europeo e Consiglio) a detrimento della sovranazionale (Commissione, Parlamento).

Sdoppiata in Consiglio europeo e Consiglio, la componente governativa “è allo stesso tempo parte (attraverso il Consiglio) di quel triangolo istituzionale e (attraverso il Consiglio europeo) istanza ad esso esterna e sovraordinata” (Roberto Adam e Antonio Tizzano, Manuale di diritto dell’Unione europea, 2020).

Il Trattato formalizza il Consiglio europeo e lo pone in capo alle altre istituzioni. Da qui la possibilità che, nell’ordine protocollare, Charles Michel preceda Ursula von der Leyen.       Per prendere ad esempio il modello nazionale, è come se il primo fosse il Capo di Stato e la seconda il Capo di Governo.

Viaggiando in coppia, i due ingenerano la domanda  su “chi comanda” a Bruxelles. Nel dubbio, Recep Erdogan ha scelto tendenziosamente il rappresentante dei governi e non dell’istituzione sovranazionale.

Il Presidente turco intendeva regolare certi conti in sospeso. Il suo gesto ha superato la dimensione di scortesia ad una Signora. Egli voleva significare l’insoddisfazione per le critiche che la Commissione gli rivolgeva sulle libertà fondamentali. La qualifica di “dittatore”, che gli è stata pubblicamente attribuita, rientra in una linea di pensiero diffusa in Europa.

L’equivoco nasce in seno al Trattato europeo. L’Europa ha troppi presidenti e parla con troppe voci. Moltiplica, anziché semplificarli,  i centri di imputazione.  I regimi autoritari, che dichiara di volere contrastare, si giovano della confusione. Possono praticare il “cherry picking”: cogliere dal grappolo le ciliegie mature e lasciare le acerbe.

Si pone anche il tema delle persone che incarnano le istituzioni. Dal 1995 al 2019  il Presidente della Commissione è sempre stato scelto fra gli ex Primi Ministri nel paese di provenienza. Ursula von der Leyen viene invece da due incarichi ministeriali a Berlino, di cui solo l’ultimo, alla Difesa, con un rilievo esterno.

E’ considerata di fatto l’inviata a Bruxelles di Angela Merkel, dopo che la Cancelliera aveva declinato l’invito ad assumere personalmente l’incarico europeo. Probabile che con Angela ad Ankara  i fatti  sarebbero andati diversamente. Nel dominio della diplomazia mediatica, l’Europa ha bisogno di essere rappresentata da personalità universalmente riconosciute.

A breve si apre la Conferenza sull’avvenire d’Europa. Le assise saranno  l’occasione per mettere mano alle storture del sistema europeo, fra competenze da acquisire in via esclusiva (sanità) e responsabilità da chiarire. Il motore dell’integrazione necessita il tagliando dopo dodici anni dall’ultima revisione. Sempre che non vogliamo rassegnarci alla retrocessione nella serie B della storia.

di Cosimo Risi

 

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