Ora non voglio scrivere delle belle pagine del romanzo, ma prendere spunto dalla “storia” per evidenziare che questo tempo è decisivo per superare le “solitudini” a cominciare da quella dell’infanzia e degli adolescenti.
In quest’ultimo anno, l’emergenza pandemica e la didattica a distanza hanno ridotto, se non in alcuni casi eliminato, ogni rapporto sociale, provocando la stasi dell’evoluzione educativa e comunicativa, rubando vita e speranza nel futuro.
Vi è, però, che dopo anni di disinteresse e di disimpegno, finalmente le esigenze dell’infanzia (e delle famiglie) vengono prese in considerazione dal Governo nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), ad esempio con investimenti programmati capaci di creare 152.000 posti in più negli asili nido, fondamentali per i servizi educativi della prima infanzia.
Apprendo da un articolo di Massimo Ammaniti su “Il Corriere della Sera” che in Italia, a differenza, degli altri Paesi europei, solo il 25% dei bambini frequenta i nidi, mentre in Francia è il 50% e in Spagna il 40%. In questa già così bassa percentuale, si registra poi una forte disparità tra le regioni del Nord e quelle del Sud; per indicare gli estremi, ad esempio, questa percentuale sale al 26% in Emilia Romagna e precipita paurosamente al 2,8% in Calabria.
Se non vogliamo creare una società di giovani che non riescono più a socializzare fra loro dobbiamo per forza valorizzare i programmi di investimento per la prima infanzia, se è vero che i primi mille giorni di vita sono decisivi per lo sviluppo della personalità e per gli stimoli che l’ambiente esterno può dare al cervello.
E’ sicuramente preferibile – constatata la fine della famiglia tradizionale come luogo del primo sviluppo educativo e psicologico del bambino – investire negli asili nido piuttosto che lasciare nella solitudine più estrema le giovani coppie, costrette ad affidarsi ai nonni (se viventi e residenti nella stessa città) o ad improvvisate baby sitter.
Mi permetto, però, di evidenziare che la solitudine di oggi non è solo quelle di bambini e di adolescenti, ma riguarda tutti noi, ed è quella della politica nei confronti del Paese, laddove si registra la distanza siderale tra le modalità, i tempi e la profondità della crisi rispetto alle risposte che la politica deve offrire, restando incomprensibili le astruse manovre tra e nei partiti e movimenti di svariata natura e colore. La politica ha bisogno di più proposta che polemica, di più decisioni che annunci.
Le persone, come acutamente rileva Walter Veltroni, proprio in questo momento hanno bisogno della potenza positiva della politica, perché la politica è l’antidoto alle solitudini di questo tempo. Per questo vi è la necessità di far vivere la politica come partecipazione diffusa, come appartenenza critica ad una comunità di valori, come contributo alla redazione di un progetto futuro condiviso.
Questa prospettiva deve aprirsi anche a Salerno, a fronte di scelte incomprensibili nate nei continui contrasti tra i partiti e vari movimenti, che allontanano la “base” dei cittadini da un vertice ormai acefalo, sarebbe opportuno lanciare l’idea di una grande assemblea programmatica in cui possono intervenire tutte quelle “forze” che intendono proporre un progetto alternativo al ritenuto grigiore dell’esistente, e verificare dapprima la comunanza di intenti per passare, solo dopo, alla scelta delle persone.
Invero, la democrazia è pensata per essere vissuta “insieme” da una comunità di destino, e non già per essere espressione di una caserma.
Giuseppe Fauceglia