A tali fini, «un soggetto ha una posizione di controllo di una società o associazione sportiva quando allo stesso, ai suoi parenti o affini entro il quarto grado sono riconducibili, anche indirettamente, la maggioranza dei voti di organi decisionali ovvero un’influenza dominante in ragione di partecipazioni particolarmente qualificate o di particolari vincoli contrattuali».
Alcuni esperti, al fine di evitare la cessione delle quote della U.S. Salernitana 1919 s.r.l. da parte di una società appartenente al figlio del Dott. Claudio Lotito (quest’ultimo Patron della Lazio), suggeriscono di costituire un trust, cioè di destinare il patrimonio (partecipazioni sociali) ad uno scopo e consentendo la gestione dello stesso ad altri soggetti diversi dal reale titolare.
È evidente che, tale operazione si rivelerebbe piuttosto debole, posto che comunque la gestione e il controllo del trust fund sarebbe pur sempre, anche se indirettamente, riconducibile al reale proprietario. Con il rischio di far storcere il naso alla F.I.G.C. con l’ inevitabile esclusione della Salernitana dal campionato di serie A.
Il dato temporale un po’ scoraggia. Infatti, il termine per la vendita della Salernitana è vicino: data 25 giugno 2021 (a pochi giorni dalla scadenza delle domande di iscrizione nella massima serie), e ad oggi l’ unica soluzione prospettata – oltre quella della vendita- è il trust. Ma la norma è abbastanza chiara. Essa esclude sia la gestione che il controllo diretto o indiretto di più società da parte di un medesimo soggetto. Divieti, questi, che non vanno aggirati. Il trust “aggirerebbe” il divieto, posto che il potere di controllo sarebbe comunque riconducibile al reale proprietario.
E allora per quel poco tempo che resta, qualora non si voglia vendere, occorre trovare una soluzione che non aggiri i suddetti divieti, ma che – anzi – soddisfi le prescrizioni delle norme federali.
La soluzione potrebbe essere, in questi termini, la creazione di una fondazione, con la quale il fondatore (Lotito) si spoglia, in modo definitivo, della disponibilità dei beni che destina allo scopo (di pubblica utilità) e, allo stesso tempo, non concorre nella loro amministrazione. Risolti i problemi di proprietà e gestione.
Tuttavia, non si può escludere la validità di un atto di fondazione che, fermo restando lo scopo di pubblica utilità proprio dell’ente (e dunque un divieto della distribuzione degli utili), preveda che una data percentuale degli avanzi attivi del bilancio annuale sia devoluta agli eredi del fondatore, purché la percentuale da devolvere a costoro non sia tale da pregiudicare la realizzazione dello scopo dell’ente.
Se da un lato, attraverso la fondazione, ente autonomo e proprietario dei beni destinati, sarà necessario perseguire uno scopo di pubblica utilità; dall’altro lato, non è escluso che la fondazione possa, persino, esercitare un’attività economica (imprenditoriale) o detenere la titolarità di partecipazioni in società. Sussiste, infatti, una differenza ben netta tra scopo e attività della fondazione.
La fondazione potrebbe risolvere il problema della proprietà dei beni essendo l’ente l’unico titolare degli stessi (si tratterebbe di una forma maggiormente più forte ed evidente della separazione patrimoniale, consistente in una vera e propria autonomia patrimoniale).
Anche il problema divieto della gestione (persino indiretta) e del controllo, dettato dall’art. 16 bis, sarebbe del tutto risolto attraverso lo strumento della fondazione.
Infatti, il fondatore (Lotito) perderebbe qualsiasi potere di gestione e controllo dell’ente. La gestione è affidata esclusivamente agli amministratori. Questi ultimi sarebbero i soli arbitri della gestione: essi determinano a proprio piacimento i criteri che ritengono più opportuni per l’amministrazione del patrimonio e per la sua destinazione allo scopo e ad essi soltanto è affidata l’esecuzione del negozio di fondazione. Il fondatore non può, come non possono i suoi eredi, ingerirsi in alcun modo nell’amministrazione.
Il controllo è poi affidato all’autorità governativa. Si badi, però, tale potere, per quanto penetrante, si risolve in un mero controllo di legittimità. L’autorità governativa non può intervenire fino a quando gli amministratori non abbiano violato lo statuto o la legge o non abbiano agito in difformità dello scopo della fondazione.
La fondazione è espressione di autonomia privata e, par tale ragione, i poteri dell’autorità amministrativa, di cui all’art. 25 cod. civ., non possono spingersi fino al controllo del merito o al controllo sulla mera opportunità delle determinazioni o gestionale o di indirizzo, che sarebbero incompatibili con l’autonomia privata dell’ente fondazionale.
Si ritiene, quindi, che – a salvaguardia degli interessi della società sportiva, di interessi della collettività e anche del fondatore (Sig. Lotito) – la fondazione potrebbe essere lo strumento più adatto alla conservazione degli assetti societari e della proprietà.
Si badi, negli ultimi decenni, si sono conosciuti modelli alternativi alla tradizionale di fondazione di erogazione (grantmaking foundation), come la fondazione operativa (operating foundation) che persegue il suo scopo direttamente, avvalendosi della propria organizzazione. Tra questi ultimi modelli, la prassi notarile ha “creato” anche le fondazioni “aperte”, in cui è possibile partecipare in momenti successivi rispetto a quello della costituzione dell’ente, caratterizzate quindi dalla presenza di aderenti successivi, anche enti pubblici, che decidono di condividere, mediante le loro contribuzioni, un progetto intrapreso in precedenza da altri.
Ebbene proprio a quest’ultima fondazione, quella partecipata, potrebbe farsi ricorso al fine di soddisfare non solo quanto prescritto dall’art. 16-bis NOIF, ma anche gli interessi di chiunque voglia (come imprenditori del territorio o enti pubblici) partecipare alle attività della fondazione e, quindi, dell’attività calcistica.
Ora è il momento. Riflettiamoci bene.
AVV. D.F.