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Covid, lo studio: “Pfizer, anticorpi poco efficienti contro variante indiana”

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Di preciso, quanto sono efficaci i vaccini esistenti contro le nuove varianti del coronavirus? Mentre la domanda sta tenendo occupati scienziati di tutto il mondo, oggi da Londra arrivano le prime risposte. Esperimenti di laboratorio del Crick institute e del National Institute for Health Research (Nihr) Uclh Biomedical Research Centre hanno evidenziato che chi si vaccina con Pfizer-BioNTech sviluppa una quantità inferiore di anticorpi in grado di riconoscere e annientare la variante Delta (precedentemente chiamata indiana), rispetto alle altre mutazioni diffuse in Regno Unito. I risultati dello studio, pubblicato oggi su The Lancet, mostrano che il livello di anticorpi prodotti dai vaccini si abbassa nelle fasce di età più anziane (non sono state però riscontrate differenze tra uomini e donne) e andrebbe a diminuire nel tempo, consolidando dunque l’ipotesi scientifica a sostegno del piano britannico di fornire una terza dose di immunizzazione a tutte le persone vulnerabili il prossimo autunno. Solo il 23 maggio scorso però uno studio della Public Health England, l’agenzia del Dipartimento della sanità, sosteneva l’alta efficacia di entrambi i vaccini utilizzati nel Regno Unito.

Non solo, ma i ricercatori britannici hanno riscontrato che nel caso della variante indiana, con una sola dose di Pfizer-BioNTech i pazienti sviluppano livelli di anticorpi più bassi rispetto a quelli che si producono contro le varianti conosciute. I dati sono questi: se una sola dose di Pfizer BioNTech consente al 79% dei pazienti di sviluppare una risposta immunitaria al ceppo originario del coronavirus, nel caso della variante Alpha (quella inglese) la percentuale si abbassa al 50% mentre contro la variante Delta (B.1.617.2 ) si scende al 32% e addirittura al 25% nel caso della variante B.1.351 identificata in Sudafrica.

Per questo gli scienziati britannici che hanno condotto l’indagine sostengono che sia necessario accorciare l’intervallo nella somministrazione dei richiami, anche se l’evidenza raccolta a Londra mostra che anche dopo la seconda dose di Pfizer-BioNTech i livelli di anticorpi contro la variante indiana restano cinque volte inferiori alla risposta immunitaria dei vaccini contro il virus originario. I risultati di questo studio che ora analizzerà anche i ai pazienti vaccinati con Oxford/AstraZeneca, arrivano nel giorno in cui la Gran Bretagna torna a registrare livelli di Covid più alti dallo scorso marzo con la conferma del ministro della Sanità Matt Hancock che la variante indiana è ormai dominante ed è responsabile fino a tre quarti dei nuovi contagi. Con l’incedere delle vacanze estive, l’incubo per il Regno Unito è la possibilità che la variante Delta stia scatenando una terza ondata pandemica. Dopo i focolai esplosi al nord ovest dell’Inghilterra come a Bolton dove in una settimana i casi sono saliti da 795 a 2.149, la contagiosissima variante B.1.617.2 sta ora moltiplicando la sua diffusione anche nelle aree del sud est dell’isola e nelle Midlands.

Il numero di casi confermati dalle analisi di laboratorio è salito del 79% rispetto alla settimana scorsa, pari a 12.431 contagi, e questo nonostante le prime dosi dei vaccini abbiano già coperto il 75% della popolazione e il 50% degli adulti britannici siano completamente immunizzati. A confermare i risultati dello studio su The Lancet il contagio esponenziale si starebbe verificando soprattutto tra i vaccinati con la prima dose e coloro che ancora non sono stati immunizzati. “Il virus resterà attorno a noi ancora per molto tempo, dunque dobbiamo restare vigili – dice Emma Wall, consulente di Malattie infettive del centro di ricerca Uclh – Il nostro studio è pensato per rispondere velocemente al modificarsi della pandemia e fornire evidenza scientifica sui cambiamenti dal punto di vista di rischi e protezioni. La cosa più importante è assicurarsi che la protezione vaccinale resti sufficientemente alta per tenere il maggior numero possibile di persone fuori dagli ospedali, e i nostri risultati suggeriscono che il modo migliore per raggiungere questo obiettivo è somministrare le seconde dosi velocemente e fornire un terzo richiamo a coloro che potrebbero avere risposte immunitarie non abbastanza alte contro queste nuove varianti”.

A preoccupare alcuni scienziati britannici però sono le curve dei ricoveri, che stanno raddoppiando, e i modelli matematici che prospettano un prossimo incremento dei decessi. Dal mondo della scienza britannica per questo stanno arrivando appelli al primo ministro Boris Johnson a riconsiderare la decisione di ritardare l’allentamento di tutte le restrizioni da tempo annunciato per il prossimo 21 giugno. “Le nuove varianti si producono naturalmente e quelle che hanno un vantaggio sulle altre poi sono quelle che si diffondono – spiega David LV Bauer, a capo del gruppo di ricerca del RNA Virus Replication Laboratory del Crick Institute – adesso dobbiamo avere l’abilità di adattare rapidamente la nostra strategia vaccinale per massimizzare la protezione nelle persone che più vulnerabili. Monitorare i cambiamenti evolutivi è essenziale per mantenere il controllo sulla pandemia e tornare alla normalità” .

Lo studio su The Lancet

Fonte il Fatto Quotidiano

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