Esattamente come per la castanicoltura, la produzione cerasicola 2021 registra un calibro di piccole dimensioni, risultando per questo scarsamente appetibile sui mercati, ma di indiscussa qualità. La Campania può ambire a recuperare il primato nazionale, oggi in testa alla Puglia, e a valorizzare su scala internazionale un prodotto di eccellenza ad elevato potenziale inespresso.
Rispetto alla produzione censita dall’Istat tra il 2013 e il 2017 che ha registrato una produzione media di oltre 273mila quintali di ciliegie all’anno, oggi i produttori lamentano un calo del 15%. Una riduzione non imputabile a variazioni climatiche, ma alla mancanza di investimenti sugli innesti per il miglioramento genetico tesi a limitare la notevole altezza delle piante.
Gli studi sulle cultivar di ciliegio autoctone della Campania rilevano almeno 50 varietà, che
confermano la copertura del 19,96% dell’offerta su base nazionale. Di questo variegato
germoplasma fanno parte la varietà precoce Maiatica di San Potito Sannitico, la Bertiello di
Somma Vesuviana – la Duroncella Nera, la Spernocchia di Bracigliano, diffusa in provincia di Salerno e premiata nel 2011 come migliore ciliegia d’Italia, e l’Imperiale: diffusa in tutta la regione, ma che aveva un buon insediamento nell’areale del Monte Maggiore, in provincia di Caserta (oltre il 60% della produzione regionale).
A conferire una cifra di eccellenza alla ciliegia campana è la raccolta, che avviene secondo il metodo ancestrale della scala o dei cassoni in legno, e che presuppone l’adozione di una specifica tecnica da parte degli addetti ai lavori. Il costo di produzione cresce a seconda della disponibilità di attrezzi e manodopera “specializzata”.
Anche in questo comparto risulta assente l’associazionismo come forma consortile di vendita. Restano alti i costi gestionali, di irrigazione, è assente la copertura a terra. In Campania come anche in Puglia e in altre regioni del Mezzogiorno il comparto non risulta competitivo e, in assenza di valore aggiunto, abbassare il prezzo del prodotto significa “togliere” solo al costo del lavoro.
Oggi la Campania vanta almeno tre grandi areali di eccellenza della produzione cerasicola.
Mercato San Severino e Siano, Sarno e Bracigliano, dove si coltiva la ciliegia a pasta rossa,
cosiddetta “spernocchia”. La caratteristica principale, che è anche la criticità, è data dall’altezza della pianta, che richiede l’utilizzo di scale in legno da 8 metri per raccogliere il frutto. Anche gli areali di Giugliano e Marigliano confermano un’ottima qualità di prodotto, ma a pasta bianca.
Si possono annoverare anche gli areali dell’Ufita fino al beneventano, ovvero a Telese, dove le ciliegie a pasta bianca vengono utilizzate per la trasformazione industriale e dolciaria. Le ciliegie vengono trasferite nel baianese, dove vengono “sbiancate” e sottoposte a processo di conservazione per la vendita alle aziende dolciarie. Anche l’alto casertano registra una produzione cerasicola, ma non in numeri rilevanti.
E’ invece l’areale di Bracigliano, Forino e Montoro che si attesta il primato regionale per numeri e gamma prodotta. Qui si produce la “spernocchia” a pasta rossa, particolarmente rinomata perché prodotto di esportazione, soprattutto in Sicilia, che anche quest’anno mantiene un prezzo calmierato che varia dai 2,50 ai 3 euro al chilo.
In Campania la cerasicoltura non ha Organizzazioni Professionali, né è possibile rilevare una
specializzazione delle imprese. Resta un prodotto marginale nella rosa delle produzioni
ortofrutticole. La raccolta avviene in proprio o conto terzi, e il carico si affida al grossista che provvede a piazzare il prodotto alle aste. Il costo attribuito al prodotto è imputabile per oltre il 60% ai costi di trasporto e distribuzione, con una grave penalizzazione per i produttori e per la raccolta.
L’ottima annata registrata dai produttori per il 2021 guarda in particolar modo alla qualità
prodotta, oltre che alla quantità. Il calibro medio-piccolo del frutto, a differenza di quanto si
immagina, non rappresenta una penalizzazione. La pezzatura resta però influente ai fini del
mercato ed è determinante nelle scelte del consumatore, che guarda invece alla dimensione come sinonimo di qualità.
Il prezzo di mercato delle ciliegie campane a pasta rossa si attesta fra 1,50 e 2,50 euro al kg (ovvero le preferite dal consumatore); mentre quelle a pasta bianca e di calibro grande arrivano anche a 2 euro al kg. La Campania esprime oggi un grande potenziale per tornare a guidare la classifica delle regioni italiane produttrici di ciliegie, a patto di inaugurare una stagione di investimenti per il miglioramento genetico di alcune di quelle varietà locali che fino al 1986 le consentivano di detenere il primato, con ben 8.277 ettari investiti, e successivamente in parte abbandonate per via dell’elevato costo di raccolta, dovuto alla notevole altezza degli alberi.
Cia Campania a tal proposito rileva come necessario e non rinviabile un investimento sulla ricerca su come migliorare le varietà locali con più elevato potenziale gradimento sul mercato mediante l’utilizzo di portainnesti nanizzanti, ma ritiene altrettanto necessario preservare e tutelare le varietà a rischio estinzione. Infatti gli areali a vocazione cerasicola ubicati in zone di collina e montagna, potrebbero rilanciare la produzione e proporre sul mercato prodotti di nicchia e ad alto valore aggiunto, tale da conferire unicità territoriale e geografica al prodotto.
Pertanto riteniamo che innovazione e tradizione debbano necessariamente camminare di pari passo, per alimentare quel patrimonio di biodiversità di cui la Campania è fiera protagonista. Assecondare le logiche di mercato e le preferenze del consumatore non significa dover rinunciare all’antropologia e ai riti ancestrali dei territori, che invece in questa fase meritano di essere vivificati e di essere tradotti in valore aggiunto.
L’invito che oggi rivolge Cia Campania ai consumatori è quello di considerare il prodotto locale. Le ciliegie campane sono un prodotto di eccellenza, ad alto valore nutrizionale e di indiscusso pregio antropologico. Conservano ancora un ricco patrimonio di tecniche di raccolta che rimandano alla tradizione e che conferiscono genuinità al prodotto. In prima linea per la politica “siamo quello che mangiamo”, l’organizzazione spinge per garantire una sempre maggiore consapevolezza del
consumatore su ciò che mangia. Il consumatore deve sapere che quando acquista un prodotto incide sull’intera catena ecosistemica di un territorio e, che scegliendo prodotti a filiera corta, nutre processi di crescita e sviluppo di aree ad alto potenziale ma ancora marginali. Ben vengano anche i prodotti di importazione: dalla Turchia, dalla Spagna e dal Marocco, che non saranno ostacolati ma consentiranno al consumatore di compiere scelte etiche.
Cia Campania non esclude infatti che la produzione cerasicola e il metodo campano possano concorrere alla costruzione del patrimonio immateriale dell’Unesco, per allontanare il rischio di una dispersione dei saperi e delle tecniche di raccolta utilizzate.
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