“La produzione intensiva di carne è uno dei principali motori di deforestazione e perdita di biodiversità, due importanti fattori di rischio per il verificarsi di epidemie, perché possono favorire nuovi salti di specie (spillover) di virus e batteri dagli animali agli esseri umani. Negli allevamenti intensivi, inoltre, tanti animali sono costretti a vivere in spazi ristretti: un ambiente ideale per il proliferare di agenti patogeni come i coronavirus e i virus dell’influenza. Anche se non compare in etichetta, il rischio di nuove epidemie è un prezzo troppo alto da pagare per continuare a produrre sempre più carne a basso costo”, dichiara Simona Savini, campagna Agricoltura di Greenpeace Italia.
Invertire la rotta è possibile: Greenpeace chiede al governo di usare i fondi pubblici per accompagnare una transizione ecologica del settore, sostenendo economicamente le aziende che producono su piccola scala e gli allevatori che intendono uscire dal modello intensivo riducendo anche il numero degli animali allevati. Questo dovrebbe essere un pilastro delle politiche agricole che l’Italia è chiamata ad adottare entro dicembre 2021.
La scorsa settimana gli attivisti e le attiviste di Greenpeace erano invece entrati in azione davanti al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (Mipaaf), riuscendo a strappare un incontro con il ministro Stefano Patuanelli, che si è mostrato favorevole al confronto sulle proposte dell’associazione per superare il problema posto dagli allevamenti intensivi italiani.