Questa decisione, presa dal neonato governo di Naftali Bennett — che ieri ha evocato una possibile nuova «insorgenza della malattia» — è solo l’ultima di una serie di contromisure prese di fronte al nuovo aumentare dei contagi, che ieri sono stati 125 in tutto il Paese: più del doppio del giorno precedente, il livello più alto dal 20 aprile. Il 70% dei nuovi casi, inoltre, è dovuto alla variante Delta. Per lo stesso motivo nel paese sarà introdotto l’obbligo di mascherine negli spazi chiusi: ai varchi di frontiera, negli ospedali e negli ambulatori medici, così come all’Aeroporto internazionale di Tel Aviv. Sono anche state introdotte sanzioni dell’equivalente di 1.500 dollari per i genitori i cui figli violano la quarantena. Il ministero della Salute ha annunciato l’immediata entrata in vigore delle restrizioni. Bennett ha poi esortato i suoi concittadini ad evitare i viaggi all’estero non essenziali, dopo che è stata registrata una ripresa dei contagi di coronavirus. «Per ora non è un ordine, ma una richiesta», ha detto il premier, ricordando che un nuovo focolaio scoppiato a Binyamina ha avuto origine da una famiglia che si era recata a Cipro, paese non considerato ad alto rischio.
Israele è il secondo Paese per percentuale di popolazione vaccinata. Su 9 milioni di abitanti, più di 5,5 milioni hanno ricevuto una dose di vaccino, e circa 5,2 milioni anche la seconda. Ma poiché le ultime recrudescenze di contagi hanno avuto origine proprio in due scuole, il governo ha emanato una nota con cui insiste perché si facciano vaccinare anche i ragazzi tra i 12 e i 15 anni. La campagna vaccinale nel Paese è stata tra le più veloci al mondo, e ha raggiunto un picco a metà febbraio: allora si facevano iniettare una dose di Pfizer — il Paese ha un accordo con la casa farmaceutica, che registra l’esito del vaccino nella popolazione — circa 80 mila israeliani al giorno. Già ad aprile il tasso era precipitato a 4-6 mila al giorno: non solo perché gran parte della popolazione era già andata a vaccinarsi, ma anche per l’esitanza, e la paura degli effetti collaterali, di tutti gli altri.
Corriere