Filo conduttore della Relazione del Presidente Tridico sono i temi dell’equità – tra generazioni e all’interno di ciascuna generazione – della sostenibilità del sistema e dell’innovazione finalizzata a servizi più semplici ed efficienti per i cittadini.
Insieme al XX Rapporto annuale Inps, la Relazione traccia un bilancio di ciò che l’Istituto ha fatto nel 2020 e analizza non solo gli effetti di questo anno attraversato dalla pandemia sulla flessione della produzione e dell’occupazione ma anche l’attivazione delle risposte da parte del Legislatore, implementate dall’Inps, che hanno attutito l’impatto della crisi.
L’intenso impegno delle strutture per erogare correttamente i sostegni a milioni di nuovi utenti, oltre a quelli “ordinariamente” serviti, ha generato un profilo nuovo per l’Istituto avviando una concreta strategia di innovazione basata su nuovi paradigmi tecnologici e organizzativi.
Gli interventi dell’Inps ai tempi del Covid
Il ruolo dell’Inps durante la fase emergenziale è stato fondamentale per l’attuazione dei provvedimenti emanati dal Legislatore per attenuare gli effetti economici e sociali della pandemia. Gli interventi messi in atto dall’Istituto nel periodo dell’emergenza Covid hanno raggiunto oltre 15 milioni di beneficiari e circa 20 milioni di individui, per una spesa complessiva di 44,5 miliardi di euro.
In particolare, ad oggi, tramite l’Istituto, hanno ricevuto misure per emergenza Covid:
- 4 milioni e 300mila lavoratori autonomi, professionisti, stagionali, agricoli, lavoratori del turismo e dello spettacolo;
- 6 milioni e 700mila lavoratori dipendenti beneficiari delle integrazioni salariali, che hanno ricevuto in totale oltre 32 mln pagamenti di indennità, per una spesa complessiva pari a 23,8 miliardi (18,7 miliardi nel 2020);
- 210mila disoccupati che hanno fruito del prolungamento del trattamento di disoccupazione (NASpI);
- 515mila nuclei familiari ai quali è stata assicurata l’estensione dei congedi dal lavoro per favorire la conciliazione dell’attività lavorativa con le esigenze familiari e di cura;
- 850mila nuclei familiari che hanno fruito del bonus baby-sitting;
- 722mila famiglie con gravi difficoltà economiche alle quali è stato erogato il Reddito emergenziale (REm);
- 216mila bonus per lavoratori domestici;
- 1 milione e 800mila nuclei familiari (circa 3,7 milioni di individui) che hanno beneficiato del Reddito di cittadinanza o della Pensione di cittadinanza, che, nel corso della pandemia, ha costituito un potente strumento di sostegno del reddito nei confronti delle fasce più bisognose della popolazione e, al contempo, ha contribuito a ridurre il rischio di tensioni sociali.
L’occupazione e il lavoro
Da qualunque prospettiva lo si analizzi, il 2020 è stato caratterizzato da una brusca caduta del fabbisogno di lavoro, con una riduzione degli occupati del 2,8% ed un calo delle unità di lavoro del 7,1% e delle ore lavorate del 7,7%, facendo trasparire una riduzione allargata del contributo lavorativo. Una parte degli occupati, se pur ridotta a seguito del blocco dei licenziamenti, ha perso il lavoro, ma molti hanno lavorato e guadagnato meno.
Il volume complessivo degli assicurati Inps, indicatore indiretto della totalità dei lavoratori regolari, non è diminuito nel 2020, attestandosi a 25.546 milioni, valore identico a quello del 2019. La pandemia non ha tanto ridotto il numero assoluto di assicurati quanto il numero medio di settimane di effettivo lavoro: dal valore di 42,9 settimane nel 2019 si è scesi a 40,1 nel 2020.
In corrispondenza al calo dell’input lavorativo si registra quello dei redditi da lavoro: l’imponibile previdenziale è diminuito di circa 33 miliardi, scendendo da 598 miliardi nel 2019 a 564 miliardi nel 2020 (-5,6%). In valore assoluto, la contrazione più rilevante è stata quella dei dipendenti privati (da 369 a 340 miliardi, pari al -7,9%), mentre per gli autonomi il calo è stato pari al -6,0%.
Se consideriamo le retribuzioni individuali, la retribuzione media annua dei dipendenti è scesa da 24.140 euro nel 2019 a 23.091 euro nel 2020 (-4,3%, corrispondente a una perdita di poco più di 1.000 euro), a seguito della riduzione media delle settimane lavorate. Questo accresce la polarizzazione all’interno del lavoro dipendente, se si tiene conto del fatto che le retribuzioni medie annue dei dipendenti occupati a tempo pieno e per tutto l’anno sono cresciute da 32.668 a 36.448 euro (+11,6%).
L’efficacia degli ammortizzatori sociali
Cassa Integrazione Guadagni – L’anno 2020 ha visto un utilizzo eccezionale degli strumenti di sostegno al reddito. La Cassa Integrazione Guadagni ha aumentato di circa tredici volte le uscite con i provvedimenti in deroga passando, infatti, da 1,4 nel 2019 a 18,7 miliardi nel 2020, a seguito dell’aumento del numero dei beneficiari, passati da 620.000 a 6,7 milioni, con un valore medio pro capite della prestazione pari a 2.788 euro.
Fenomeno diffuso nell’insieme dei lavoratori, considerando che i dipendenti in cassa a zero ore, inizialmente pari alla metà nel primo lock-down (45% in aprile 2020) sono calati come incidenza al 9% (novembre 2020) fino a raggiungere il 7% (febbraio 2021). Il 43% delle imprese nel 2020 non ha mai usufruito di Cig, mentre il 18% solo nella prima fase di rigido lockdown, il 17% anche successivamente ma esaurendone l’uso nell’anno, mentre il 22% ha continuato a ricorrervi.
L’erogazione degli ammortizzatori sociali è stata gestita nella quasi totalità dall’Inps che, già nel 2020, ha implementato innovazioni per semplificare le procedure di accesso e lavorazione. A breve verrà attivata la nuova piattaforma per l’accesso unico alla Cig che consente una domanda unificata di cassa per tutte le tipologie esistenti.
L’ampia adozione di Cig, in particolare in deroga, ha frenato il crollo dei redditi: dai dati dell’imponibile contributivo, Inps rileva che in assenza del sostegno derivante dagli ammortizzatori sociali l’imponibile contributivo mediano per i lavoratori coinvolti in Cig-Covid sarebbe diminuito del 60%; grazie alla Cig, la perdita si è ridotta al 33%.
La Cig è però misura troppo frammentata legislativamente e non copre automaticamente un’ampia fetta del mondo lavorativo non dipendente, come ha messo in evidenza lo shock pandemico. Emerge dunque la reale ed urgente esigenza di una riforma, non solo in ottica di semplificazione ma anche in direzione di maggiore universalismo. Un primo passo viene fatto con l’introduzione dell’Iscro per i lavoratori autonomi.
Sempre in tema di impatto degli ammortizzatori sociali, in assenza di questi si rileva che la disuguaglianza sarebbe aumentata del 93%, mentre con essi è stata arginata, frenando tale aumento al 55%. Di contro, l’intervento pubblico avrebbe potuto essere più selettivo nell’individuazione delle categorie beneficiarie di una serie di bonus, per i quali si è fatta prevalere l’istanza del rilancio dell’economia.
Infine, sono emerse le necessità di nuove fattispecie di lavoro, in particolare quelle intermediate dalle piattaforme digitali, che richiedono nuove tutele e per le quali l’Inps, insieme a Inail, ha creato un sistema per poter garantire la platea sempre più ampia di gig workers.
RdC/PdC – Mentre le analisi Inps illustrano come la disuguaglianza nei redditi annuali sia cresciuta di quasi il 50% negli ultimi 30 anni, e la disuguaglianza salariale raddoppiata, è evidente un inesorabile aumento della precarizzazione del lavoro che richiede maggiori protezioni ed equità. In questa direzione andrebbe l’inserimento di un salario minimo, che avrebbe un effetto non solo di contrasto alla povertà ma anche di stimolo ai consumi e alla crescita, oltre ad un effetto positivo sui saldi di finanza pubblica. Si stima un aumento del gettito di 3 miliardi con un salario minimo a 9 euro.
Inequivocabile l’efficacia nel contrasto alla povertà e inclusione sociale apportato dal Reddito/Pensione di Cittadinanza, soprattutto nel 2020, diventando un fattore determinante per 1,8 milioni di famiglie contro un impatto ancor peggiore dalla crisi. Sono 3,7 i milioni di individui, di cui un quarto minori, che hanno beneficiato della misura in quanto membri di un nucleo percettore, che in media ha ricevuto 552 euro al mese per nucleo familiare.
La occupabilità dei percettori di RdC, purtroppo, è molto scarsa. Un gran numero di percettori di RdC/PdC – una misura la cui erogazione è pari in media a 552 euro per intero nucleo familiare – è costituito da minori (1.350.000), disabili (450.000), persone con difficoltà fisiche o psichiche non percettori di pensioni di invalidità, oltre a circa 200.000 percettori di PdC. Soprattutto per essi la misura è stata un’àncora di salvataggio, uno strumento di inclusione sociale prima di tutto, una leva contro la regressione nella povertà assoluta.
I dati Inps, incrociati con ulteriori indicatori di disagio economico locale, dimostrano che l’incidenza del RdC aumenta con il crescere dello svantaggio economico e si riduce al migliorare delle condizioni del mercato del lavoro, evidenziando che la distribuzione territoriale del beneficio è condizionata principalmente da fattori socioeconomici.
Il capitale sociale ha un ruolo importante nello spiegare l’incidenza dei percettori di RdC/PdC nei comuni di tutte le aree del Paese e, quando si stima un modello di regressione per spiegare l’incidenza delle revoche a livello comunale, emerge che a parità di tali condizioni, non si riscontra alcuna differenza tra aree del Nord e del Sud.
Nel 2020, l’Inps ha intensificato le procedure per controlli amministrativi interni sincroni già in fase di istruttoria, che si affiancano alle efficaci collaborazioni sinergiche con le Forze dell’Ordine e con la Guardia di Finanza, con ottimi risultati.
Ulteriori implementazioni sono in corso, grazie ad accordi con diverse amministrazioni che detengono dati di interesse. Parallelamente, con ben altro intento, attraverso accordi di Inps con Caritas, Sant’Egidio e Anci, viene promossa la ricerca attiva di coloro che vivono situazioni di maggior disagio per aiutarle ad accedere a prestazioni erogate da Inps che forse non conoscono e che possono rivelarsi per loro fondamentali.
NASpI – I dati sulla NASpI non mostrano una tendenza negativa rispetto al 2019 in quanto il blocco dei licenziamenti ha ridotto gli ingressi nella condizione di disoccupazione: rispetto al 2019 i beneficiari a seguito di licenziamento, che nel 2019 erano 811.000, sono divenuti 654.000, mentre è aumentata leggermente la componente proveniente dai cessati nei contratti a termine (da 1.656.000 a 1.723.000).
Denatalità e lavoro
La scarsa natalità che caratterizza il Paese ha un impatto sul mercato del lavoro e sulla sostenibilità della crescita economica. I giovani entro i 29 anni di età, che nel 1951 rappresentavano più della metà della popolazione (51,6%), ne costituiscono oggi circa il 28%. Tale squilibrio è ormai diffuso in tutto il territorio nazionale. Secondo l’Istat, l’indice di dipendenza, cioè il rapporto tra la popolazione non attiva e quella attiva, è da anni superiore al 50%, mentre l’indice di vecchiaia (maggiori di 65 anni/minori di 14 anni) è aumentato di oltre il 5% tra il 2019 e il 2020, raggiungendo la quota di 179,3 anziani ogni cento giovani.
Data la composizione non omogenea per fasce di età della popolazione italiana, la situazione è destinata ad aggravarsi e l’ingresso di lavoratori dall’estero ha compensato solo in parte tale squilibrio: quando volgerà al termine il ciclo di vita demografico dei cosiddetti baby boomers, il ritmo di entrata non sarà più sufficiente a compensare quello di uscita e la domanda di welfare tenderà ad aumentare per effetto della spesa sanitaria dovuta all’invecchiamento della popolazione.
Anche la spesa assistenziale tenderà ad aumentare, soprattutto per le esigenze di protezione di un mercato del lavoro caratterizzato da eccessiva flessibilità, redditi instabili e precari. Aumenta il part-time, soprattutto tra le donne, con un conseguente allargamento del divario reddituale e contributivo tra i generi, e si amplia il dualismo tra Centro-Nord e Sud Italia. A riguardo, l’allargamento della base contributiva grazie a maggiori tassi di partecipazione e il contrasto al lavoro nero richiederebbero maggiori investimenti e politiche pubbliche incisive per riequilibrare le differenze.
L’attenzione politica dovrebbe attestarsi maggiormente su tre aspetti in particolare:
- maggiore sostegno alla natalità;
- ampliamento della base contributiva, soprattutto al Sud, con l’emersione del lavoro irregolare, regolarizzazione degli stranieri, spinta verso tassi di partecipazione più alti, soprattutto da parte delle donne;
- incremento della produttività del lavoro.
In tale contesto, l’introduzione di nuove misure come l’assegno unico potrebbero dare un contributo alla ripresa delle nascite e alla produttività, insieme alla previsione di un congedo di maternità obbligatorio e più lungo anche per gli uomini e una contribuzione agevolata per le donne madri.
Occorre ripensare anche il ruolo dei giovani, intervenendo con misure che migliorino la qualità della formazione, favoriscano un maggior assorbimento da parte del tessuto produttivo ed evitino la fuga verso altri paesi di molti giovani specializzati: l’inserimento nel mercato del lavoro di giovani con un bagaglio di conoscenze informatiche e digitali, oltre che professionali, potrebbe essere funzionale alla sempre auspicata svolta digitale nella pubblica amministrazione e nel settore privato.
Spesa pensionistica
Al 31 dicembre 2020, i pensionati italiani erano pari a circa 16 milioni, di cui il 7,7% uomini e l’8,3% donne. Nonostante le donne pensionate siano la maggioranza, le pensioni medie mensili degli uomini (pari a 1.897 euro) superano significativamente quelle delle donne (pari a 1.365). Il divario retributivo a livello territoriale si riflette nel dato pensionistico: le pensioni medie al Centro-Nord superano di poco i 1.700 euro, mentre quelle al Sud e Isole sono pari a 1.400 euro. Le prestazioni previdenziali rappresentano l’81% del totale e quelle assistenziali il 19%.
La categoria più numerosa è rappresentata dalle pensioni di anzianità/anticipate con il 30,9% del totale, seguita da quella delle pensioni di vecchiaia con il 24,5% e dalle pensioni ai superstiti con il 20,5%; le prestazioni agli invalidi civili sono il 15,3% del totale; le prestazioni di invalidità previdenziale e le pensioni/assegni sociali sono rispettivamente il 5% e il 3,9%.
Quota100
La misura sperimentale e triennale di Quota 100 ha permesso il pensionamento anticipato di 180.000 uomini e 73.000 donne nel primo biennio 2019-20. Dall’analisi del take-up di Quota 100 emerge che la misura è stata utilizzata prevalentemente da uomini, con redditi medio-alti e con una incidenza percentuale maggiore nel settore pubblico.
Se ci si limita invece ai dipendenti del settore privato, oltre al genere e al reddito, assume un ruolo chiave anche la salute negli ultimi anni di carriera. Rispetto agli impatti occupazionali attraverso la sostituzione dei pensionati in Quota 100 con lavoratori giovani, un’analisi condotta su dati di impresa non mostra evidenza chiara di uno stimolo a maggiori assunzioni derivante dall’anticipo pensionistico.
Opzione Donna
L’opzione Donna ha permesso circa 35.000 pensionamenti nel primo biennio 2019-20. Dall’analisi di un campione di donne con i requisiti per l’adesione a questo canale di pensionamento, emerge che hanno scelto l’Opzione prevalentemente soggetti con redditi bassi, a volte silenti, ovvero senza versamenti contributivi nell’anno antecedente al pensionamento. Anche limitandosi al solo settore privato, il reddito basso si conferma essere la determinante più significativa per questa scelta.
Revisione del sistema pensionistico
Il dibattito pubblico recente si è concentrato su alcune proposte di revisione del sistema pensionistico. Nel Rapporto Annuale si approfondiscono tre proposte, dal punto di vista degli effetti economici sulla spesa pensionistica sia nel breve che nel lungo periodo. Nello specifico, sono analizzate: la proposta di consentire il pensionamento anticipato con 41 anni di contribuzione, a prescindere dall’età; l’opzione al calcolo contributivo con 64 anni di età e 36 di contributi; e un’opzione di anticipo della sola quota contributiva della pensione a 63 anni, rimanendo ferma a 67 la quota retributiva.
Dall’approfondimento emerge che la prima proposta è la più costosa, partendo da 4,3 miliardi di euro nel 2022 e arrivando a 9,2 miliardi a fine decennio, pari allo 0,4% del prodotto interno lordo. La seconda è meno onerosa, costando inizialmente 1,2 miliardi, con un picco di 4,7 miliardi nel 2027, e per questo più equa in termini intergenerazionali, con risparmi già poco prima del 2035, per effetto della minor quota di pensione dovuta all’anticipo ma soprattutto per i risparmi generati dal calcolo contributivo.
Nell’ultima proposta analizzata si garantisce flessibilità per la componente contributiva dell’assegno pensionistico con costi molto più bassi per il sistema: l’impegno di spesa parte da meno di 500 milioni nel 2022 e raggiungerebbe il massimo costo nel 2029 con 2,4 miliardi di euro. Nel lungo periodo le proposte portano a una riduzione della spesa pensionistica rispetto alla normativa vigente, ma con impatti chiaramente differenti e diversa sostenibilità sui conti pubblici.
Innovazione e rilancio dell’Inps
Il tema della riorganizzazione interna è un tema centrale nel bilancio di attività dell’Istituto. Dal confronto con altre agenzie analoghe in altri paesi europei, l’Inps emerge come l’organizzazione con la più ampia gamma di prestazioni erogate ed il minor costo per prestazione fornita. In ragione di queste conclusioni l’Inps sta dedicando molte energie alla transizione al digitale, chiamando a raccolta risorse progettuali interne ed esterne. Sebbene la digitalizzazione dei servizi pubblici sia un processo in atto da molti anni, i cittadini non percepiscono ancora le transazioni digitali come la modalità più efficace per interagire con la Pubblica Amministrazione. La ragione è nella bassa fruibilità dei servizi offerti dal settore pubblico, in conseguenza di una trasformazione tecnologica che spesso si è limitata a sostituire i processi fisici esistenti con equivalenti soluzioni digitali, senza modificare le prassi consolidate, né la logica di servizio, né le impostazioni ricalcate sulle precedenti tecnologie o sugli assetti dell’organizzazione interna.
Per questa ragione il Consiglio di Amministrazione ha adottato due piani per il triennio in corso – il “Piano Strategico Digitale 2020-2022” e il “Piano Strategico ICT 2020-2022” – con l’obiettivo di delineare un preciso percorso di innovazione e transizione al digitale, che l’Istituto ha prontamente avviato. I due Piani strategici adottati nel corso del 2020 sono stati scomposti in un programma coerente di progetti di innovazione, sviluppati parallelamente agli ordinari processi di manutenzione e aggiornamento incrementale delle infrastrutture ICT. Il nuovo approccio delineato nel Piano ICT si basa su nuovi paradigmi tecnologici ed organizzativi. La necessaria continuità dei servizi si affianca al processo di evoluzione ed innovazione di processi ed infrastrutture, puntando su piattaforme che permettono di offrire servizi ai cittadini in modo proattivo, con procedure semplificate e automatizzate.
Nel corso del 2020 sono stati attivati 14 progetti di innovazione ed altri 55 sono già stati avviati nella prima metà del 2021, tra cui soluzioni moderne di intelligenza artificiale e iniziative basate sulla blockchain. L’Inps, grazie alle caratteristiche tecnologiche, organizzative, infrastrutturali e di sicurezza di cui dispone, è tra i componenti del futuro Polo Strategico Nazionale, il progetto orientato alla creazione di un datacenter nazionale per la gestione efficiente dei dati amministrativi.
Ovviamente, la trasformazione digitale non può limitarsi all’innovazione tecnologica e delle procedure, ma richiede di intervenire sulle competenze del personale attualmente in servizio, per il quale è in corso un piano di change management.
In questo contesto di grande e consapevole spinta all’innovazione che sta caratterizzando oggi l’Inps, il rilancio dell’Istituto passa attraverso il suo personale, a tutti i livelli, il cui sforzo e impegno nell’ultimo anno sono stati encomiabili. La valorizzazione delle risorse umane è un obiettivo che i vertici dell’Inps perseguono con attenzione costante.
Sono queste le premesse con cui l’Inps si presenta all’appuntamento operativo con il PNRR, piano a cui ha dato il suo contributo e in cui sono stati accolti sei progetti disegnati dallo stesso Istituto. Le iniziative di impulso alla digitalizzazione e al rinnovamento dell’Inps potranno avere una ricaduta significativa nell’intero processo di crescita di tutta la PA e del welfare degli italiani.