Sabato 25 settembre alle ore 18,30, apre al pubblico in presenza la mostra di Arturo Pagano. Opere 1977-1985. La mostra, proposta nel marzo dello scorso anno in edizione online, presenta oggi trenta grandi opere, tra dipinti, gouache e disegni, realizzate dall’artista tra il 1977 e il 1985 nel corso dei suoi frequenti soggiorni romani: esse testimoniano il nuovo clima culturale e artistico che si respira in quegli anni, l’aria dei cambiamenti di una pittura che ritrovava una sua nuova prospettiva.
Sono opere che testimoniano dei legami con il mondo mediterraneo, abitato da figure mitologiche e da archetipi che Pagano lascia affiorare come segni di una sentita, profonda identità.
“Il Museo-FRaC Baronissi in questi due ultimi anni, segnati dalla malattia pandemica, ha dato il meglio di sé in ambito regionale e nazionale – osserva Gianfranco Valiante sindaco di Baronissi – rispondendo con mostre, presentazioni di libri, dibattiti e conferenze organizzate nella piattaforma online.
Poi il ritorno in presenza: la grande e significativa mostra dedicata a Daniel Spoerri, alla quale ha fatto seguito quella del giovane scultore Ugo Cordasco che si è intrecciata con la rassegna ‘Visionnaire21’, ancora in questi giorni in corso. Oggi con la mostra dedicata alle opere che Arturo Pagano ha realizzato tra la fine degli anni settanta e la prima metà degli ottanta, alziamo nuovamente il tiro.
È una mostra particolare; ha un carattere storico perché presenta per la prima volta, le opere di questo significativo interprete della pittura italiana. Con questa mostra, il nostro museo riafferma il suo interesse a ricostruire le pagine delle vicende artistiche contemporanee della Campania”.
“Nello scenario delle giovani esperienze creative degli anni ottanta nel Mezzogiorno d’Italia – scrive Massimo Bignardi nella monografia pubblicata da Gutenberg Edizioni –, la personalità di Arturo Pagano si caratterizza per la sua inquietudine, per quel continuo mettersi in gioco, rinnovarsi, oscillando dai registri di matrice figurale a quelli originati da una plastica arcaica e poi costruttivista, con maggior tensione dal 1987.
È l’inquietudine che attraversa l’intera sua esperienza creativa ed esistenziale, sempre appartata, silenziosa: una tensione introspettiva, velata da un’ombra melanconica, che alimenta l’eclettismo che è proprio della sua creatività. Il primo vero confronto Pagano lo vive nel surriscaldato clima della situazione artistica romana dei primi anni ottanta: il quotidiano peregrinare tra le gallerie della capitale, la Galleria Ferranti, L’Attico, le rassegne che si rincorrevano con forte accelerazione, nonché la frequentazione marginale di alcuni tra i protagonisti di quella che la critica indicava come ‘la nuova scuola romana’, sono elementi utilissimi per comprendere sia le esperienze proprie di quegli anni, sia le sperimentazioni successive.
Sostanzialmente, egli esordisce come pittore attento alla dimensione plastica della pittura italiana, al suo insistere tra forma e immagine: dapprima, apre ad una figurazione d’impronta classica, poi accentua la forza espressiva del colore, libera di distorcere la linea, tale da imprimere movimento alla composizione; infine, accoglie in essa la presenza di elementi plastici, forme monocellulari in cartone sagomato e dipinte di nero, che conferiscono una maggiore tensione spaziale e, al tempo stesso, plastica.
Tutto ciò è senza nostalgia per quanto appreso nella sua formazione scolastica o per la verve figurativa, propria dei disegni e delle gouache realizzate sul finire degli anni settanta, ma facendo convergere l’interesse su una nuova visione della figura, al di là del valore che le conferisce l’immagine. Pagano vive il particolare momento che segna la scena artistica italiana a cavallo dei due decenni: un periodo, che sarà indicato dalla storiografia, sul piano del dibattito politico e sociale, come stagione del ‘riflusso’.
La fine degli anni settanta e i primi degli ottanta registra la mutazione del rapporto che l’arte aveva instaurato con la complessità del suo presente, allentando fortemente le maglie del suo impegno sociale.
È il periodo, nel quale il riflusso dall’ideologia pian piano – nel contesto buio che vive l’Italia negli anni di piombo – avvia un processo di vanificazione, se non proprio di azzeramento, della compartecipazione sociale alla costruzione di una nuova identità democratica.”
“Ho avuto la fortuna – dichiara l’artista – di nascere a Torre del Greco, in uno dei centri urbani sul golfo di Napoli, che si sono sviluppati alle falde del Vesuvio, la montagna addormentata, le cui pendici arrivano al mare, il nostro Mediterraneo. Pensavo che non avrei mai lasciato questi luoghi, specialmente il mio mare, compagno inseparabile della mia gioventù; questa terra carica di storia, animata da racconti e visioni ancestrali di cui, nelle Metamorfosi, Ovidio parla come terra del corallo, nato dal sangue di Medusa; la presenza del vulcano, che a lungo ho esplorato e che mi attendeva ad ogni mio risveglio; un nonno incisore di cammei.
Questi sono solo alcuni, forse i più significativi, dei motivi che mi hanno spinto a frequentare l’Istituto d’Arte di Torre del Greco, orientando gli studi verso l’incisione del corallo. Tutto questo si è depositato nei miei lavori di quegli anni, quin in mostra al Museo-FRaC Baronissi, diventando una dimensione altra, che potremmo chiamare spirito del luogo. È, in fondo, ciò che l’artista stratifica nella dimensione, potremmo dire, archetipa: lo spirito del luogo richiede uno spirito di idealizzazione che, tramite la forza della pittura, può diventare proprietà immaginaria di tutti.”
ARTURO PAGANO, nasce a Torre del Greco (NA) nel 1958. Si forma presso l’Istituto d’Arte della sua città natale, sotto gli insegnamenti del maestro Renato Barisani. Inizia la sua attività espositiva nel 1978, con una pittura contrassegnata da un impianto figurale. Dopo i soggiorni a Roma, nei primi anni ottanta, a metà del decennio, registra un ulteriore passaggio verso una nuova ricerca spaziale che libererà l’opera dall’elemento figurale.
In questa fase l’artista utilizza catrame, ferro, fuliggine, giocando sul un contrasto polare, bianco-nero, rendendo protagonista la luce, come proposto dalle opere esposte nella mostra “Vitalità della Scultura”, curata da Massimo Bignardi e tenutasi, tra il 1989 e il 1990, a Milano, al Nuovo Spazio Aleph, alla Pinacoteca di Macerata, al Castello Aragonese di Ischia, agli Antichi Arsenali di Amalfi, al Castello di Cerro al Volturno.
Nello stesso anno è invitato alla XXXIV Mostra Nazionale d’Arte Contemporanea di Termoli. Le esperienze dei primi anni novanta testimoniano l’emergere della forma dal piano per affermarsi come architettura, e saranno esposte nel 1990, in occasione delle personali alla galleria Dedalos, a San Severo e alla Pinacoteca Comunale di Macerata. La breve stagione degli impaginati monocromi e del recupero dell’oggetto è proposta nell’ambito di varie mostre, tra queste “Trame del disegno italiano contemporaneo”, presso la galleria Dedalos, nel 1997 e “Paesaggi Contaminati”, nelle ex Carceri di Vitulano, nel 1998.
In questi anni compaiono brani di radiografie in impianti geometrici dai colori squillanti, stesi in campiture piane. Un nuovo cambiamento di rotta si registra con la riproposizione dell’oggetto quotidiano in complessi plastici, esposti nel 1999, al XXIV Premio Sulmona. La progressiva tendenza a ridurre la distanza tra scultura e pittura, si esplica nell’utilizzo del vetro e di sempre più ampie campiture di colore rosso e giallo, sua cifra distintiva, interrotte dall’inserimento di frammenti di radiografie, come nelle opere presenti nella personale “Itinerario Inverso”, al Museo del Sannio di Benevento, nel 2003.
È del 2004 la personale “Opere recenti”, presso il Museo FRaC-Baronissi. I lavori di questi anni oscillano tra immagine e forma, pittura e scultura, e puntano a dare corpo a un tentativo di aprire nuove prospettive costruttive, così come si registra nell’installazione realizzata nel 2009 nel chiostro di San Galgano, nell’ambito della rassegna promossa dalla cattedra di Storia dell’Arte contemporanea dell’Università di Siena.
Nel 2010 realizza il manifesto per il Premio Strega, che gli offre l’occasione per la mostra all’I.I.C. di Vienna. Inoltre, nel 2011, viene invitato a partecipare allo “Stato dell’Arte”, Padiglione italiano della 54a Biennale di Venezia. Del 2015 sono le due personali, dal titolo “Geometrie e rilievi”, presso il Centro Luigi Di Sarro, e l’Istituto Italiano di Cultura di Colonia. Di recente il Museo ARCOS di Benevento gli ha dedicato un’ampia mostra personale. Vive, lavora e pensa altrove.
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