Ma c’è chi pensa ne servano anche di più, come i ricercatori di ingegneria architettonica della Pennsylvania State University che, in base ad una recente ricerca, ritengono che i due metri non sarebbero nemmeno sufficienti, almeno in un ambiente chiuso come quello degli uffici.
L’anticipazione dei risultati di questo particolare studio è stata diffusa online, sebbene gli stessi esperti non abbiano chiarito esattamente quale dovrebbe essere la distanza da mantenere tra colleghi in ufficio, ad esempio, quando ci si trova nel medesimo ambiente al chiuso.
Il team di ricercatori, si legge sul sito dell’ateneo americano, “ha scoperto che distanze interne di due metri, circa sei piedi e mezzo, potrebbero non essere sufficienti per prevenire adeguatamente la trasmissione di aerosol nell’aria”.
“Abbiamo deciso di analizzare il movimento aereo di particelle cariche di virus rilasciate da persone infette negli edifici”, ha spiegato Gen Pei, primo autore e studente di dottorato in ingegneria architettonica presso la Penn State.
“Inoltre, abbiamo studiato gli effetti della ventilazione negli edifici e del distanziamento fisico come strategie di controllo per l’esposizione ai virus nell’aria in ambienti chiusi”, ha continuato. In particolare, nel condurre le loro analisi, i ricercatori hanno esaminato diversi fattori: la quantità e la velocità dell’aria ventilata, il modello del flusso d’aria interno associato a diverse strategie di ventilazione e la modalità di emissione di aerosol della respirazione mentre si parla.
Quindi, sono stati confrontati anche il trasporto di gas tracciante, tipicamente impiegato per testare le perdite in sistemi a tenuta d’aria, e gli aerosol respiratori umani di dimensioni comprese tra uno e 10 micrometri, tra cui quelli che sono in grado di trasportare il virus Sars-Cov-2.
“I risultati del nostro studio rivelano che le particelle cariche di virus emesse, mentre parla, da una persona infetta e senza mascherina, possono viaggiare rapidamente nella zona di respirazione di un’altra persona entro un minuto, anche a una distanza di due metri”, ha spiegato Donghyun Rim, altro autore dello studio. E questa tendenza, ha proseguito, “è accentuata in ambienti privi di una sufficiente ventilazione”.
I risultati della ricerca, hanno sottolineato gli esperti, suggeriscono in sostanza che “il solo distanziamento fisico non basti a prevenire l’esposizione agli aerosol esalati e dovrebbe essere implementata con altre strategie di controllo come l’utilizzo delle mascherine e un’adeguata ventilazione”.
Gli esperti, tra l’altro, hanno scoperto che gli aerosol viaggiavano a maggior distanza e più rapidamente nelle stanze dotate di “ventilazione a dislocamento”, dove l’aria fresca scorre continuamente dal pavimento e spinge l’aria calda verso una presa d’aria posizionata vicino al soffitto.
Si tratta del sistema di ventilazione installato nella maggior parte delle case e può comportare una distanza di trasmissione maggiore e un’esposizione più elevata agli aerosol virali pari a 7 volte rispetto ai sistemi di ventilazione a modalità mista. Quest’ultima, presente in molti uffici ed edifici commerciali, incorpora l’aria esterna per mischiarla con l’aria interna regolando la temperatura e le concentrazioni di aerosol.
“Questo è uno dei risultati sorprendenti ottenuti dalle analisi: la probabilità di infezione per via aerea potrebbe essere molto più alta negli ambienti residenziali rispetto a quella relativa agli uffici”, ha concluso Rim.
“Tuttavia, negli ambienti residenziali, il funzionamento di ventilatori meccanici e dei filtri dell’aria autonomi può aiutare a ridurre la probabilità di infezione”, ha spiegato. Dopo queste conclusioni, gli studiosi stanno ora applicando questa tecnica di analisi a varie tipologie di ambienti, comprese le aule scolastiche e i mezzi di trasporto.