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“L’Acquario” di Claudio Grattacaso nel week-end al Teatro Genovesi

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Al centro della scena – il claustrofobico studio di uno scrittore, ingombro di libri che precludono il contatto con la realtà circostante – campeggia un acquario, i cui abitanti, come in un meccanismo di scatole cinesi, simbolicamente riproducono le dinamiche psicologiche ed emotive dei tre protagonisti.

È questa l’immagine descritta dal regista, Marcello Andria, con la quale si presenterà al pubblico “L’Acquario”, lo spettacolo di Claudio Grattacaso in programma sabato 6 novembre (ore 21.15) e domenica 7 novembre (ore 19) al Teatro Genovesi a Salerno. In scena Felice Avella nel ruolo di Donato, Ernesto Fava che sarà Sandro ed Enzo Tota che interpreterà Elio.

La direzione di scena è di Angela Guerra; le scene di Luca Capogrosso, il progetto grafico Giulio Iannece; le musiche originali sono di Marco De Simone. Il testo dello spettacolo ha ricevuto la menzione speciale alla quarta edizione del Premio Nazionale Teatrale Achille Campanile “Campaniliana”.

“Valicata da tempo la soglia che separa l’età dei progetti dall’età dei bilanci, anche i tre vecchi amici che animano la vicenda – Elio, Donato e Sandro – si cimentano in un insidioso gioco al massacro, che mette a nudo insicurezze, paure, debolezze, fallimenti. Il loro rapporto, logorato dagli anni e dalla consuetudine, ha accumulato un fondo di reciproca insofferenza, di dubbi e rancori, di doppiezza e risentimento: una miscela corrosiva che d’un tratto deflagra in un dialogo serrato, dai toni ora aggressivi e beffardi, ora lievi e nostalgici – scrive Marcello Andria nelle note di regia – Elementari strategie di difesa inducono di continuo i tre uomini a mutare alleanze, rovesciando il tavolo appena se ne presenta l’opportunità pur di distogliere l’attenzione da sé, pur di salvare almeno un brandello di personale dignità.

L’ironia degenera più volte nello scherno, l’insinuazione in affronto, la commiserazione in disprezzo. Le parole graffiano, feriscono, lasciano cicatrici che non si rimargineranno mai del tutto; eppure producono un effetto catartico, liberano l’emotività, aprono imprevisti squarci di quella comunicazione autentica che negli anni era venuta meno. Tre solitudini, in fondo, che alla fine si abbarbicano l’una all’altra e, dopo essersi dilaniate senza esclusione di colpi, proprio come i pesci dell’acquario, ritornano al punto di partenza del loro insensato e tragicomico percorso”.

In chiusura Andria fa un chiaro riferimento all’allestimento: “Assecondando le inflessioni agrodolci e il frizzante ritmo della scrittura, sottolineati anche dal commento musicale, l’allestimento punta senza mezzi termini a coinvolgere e a divertire, mettendo in scena una girandola di caratteri, umori, situazioni”.

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