Vanno in controtendenza i Mediterranean Dialogues, che annualmente si svolgono a Roma sotto l’egida di ISPI e Ministero Esteri, con la partecipazione di alcuni attori di vario rango. Assenti i Grandi, Russia e Stati Uniti non inviano i loro Ministri degli Esteri, gli altri soggetti sono meno clamorosi ma si esprimono con concretezza. Il Mediterraneo torna al centro della scena, per gli Europei è priorità e destino. Ed infatti Josep Borrell propone
di passare dalla storica contrapposizione fra Cristianità e Islàm alla cooperazione. L’Unione lavora per questo.
Il multilateralismo universalista, quello plasticamente raffigurato dal Palazzo di Vetro a New York, segna il passo. Gli attori regionali si affacciano sulla scena per dire la loro. Il multilateralismo si trova di fronte al dilemma: se allargarsi a tutti, e dunque rischiare di annacquarsi, oppure virare verso forme coordinate di reti regionali fra soggetti aventi gli stessi interessi. E’ il caso dell’Europa con il Mediterraneo allargato al Golfo.
Il fenomeno si vale di un neologismo: il minilateralismo. Una via di mezzo fra il multilateralismo king size e l’unilateralismo, tanto caro alle Amministrazioni repubblicane di George W. Bush e Donald Trump. Del primo s’è detto che patisce l’inefficacia, del secondo si critica la tendenza a spezzettare i problemi complessi. In ambedue i casi la diplomazia non si sintonizza più sui movimenti del mondo.
Il minilateralismo è presente sotto traccia nei Dialoghi. Dopo l’epoca delle dichiarazioni altisonanti si passa alle cooperazioni di fatto. Ne sono esempio gli Accordi di Abramo fra Israele e alcuni paesi arabi e la presenza del Padiglione israeliano all’Expo di Dubai.
La ricomposizione dell’universo mediterraneo è difficile. Non tutti lavorano allo scopo. Si prenda il caso della Libia. Le elezioni in programma a fine dicembre sono ancora in forse. Le spinte perché non si tengano affatto sono occulte quanto incalzanti. Si avanza il timore che, a fronte di ballottaggi onesti, la parte perdente non accetti l’esito e provi a ribaltarlo con la forza.
La Libia è il crocevia di molteplici interessi, rappresenta il banco di prova della nuova concertazione mediterranea. Fuori i mercenari e gli operatori stranieri (turchi e russi) è l’appello del nostro Presidente del Consiglio. Costruiamo uno stato viabile è l’auspicio del Governo provvisorio di Tripoli.
Le istituzioni che usciranno dalle urne hanno l’improbo compito di riprendere il controllo del territorio. Sanno di verità le parole della Ministra degli Esteri di Libia. Najla el Mangoush: “Neppure l’Europa con tutti i sistemi di sorveglianza riesce a sorvegliare i confini. Non è una questione di facile soluzione. Se due dei paesi più stabili al mondo, come Francia e Regno Unito, non riescono a controllare l’immigrazione illegale, come possono aspettarsi che riesca a farlo la Libia?”.
Il minilateralismo deve misurarsi con temi vitali. Anzitutto un nuovo patto sociale fra generazioni e generi. I giovani acculturati e disoccupati che non credono ai tempi lunghi del riformismo politico. Le donne che soffrono l’emarginazione. L’uso dell’acqua: undici dei quindici paesi che usano più acqua di quella che hanno a disposizione sono MENA (Middle East and North Africa). La campagna di vaccinazione: il grafico mostra che solo i paesi del Golfo e Israele si situano fra il 60 e l’80% di copertura, gli altri hanno numeri bassi, infimi nel caso limite dello Yemen.
Ecco che il dialogo diventa costruttivo: immaginare soluzioni per problemi che dalla scala nazionale passano a livello regionale. Evitiamo il Naufragio mediterraneo, di cui all’omonimo saggio di Michela Mercuri e Paolo Quercia: “Da tempo il Mediterraneo ha smesso di essere un punto di incontro e si è trasformato in una frontiera”.
di Cosimo Risi
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