L’ultimo Presidente URSS e Segretario Generale del Partito Comunista firma le dimissioni in uffici ormai deserti, mentre da fuori premono i seguaci del Presidente di Russia per occuparli al più presto.
La staffetta fra Mikhail Gorbacev e Boris Eltsin avrebbe potuto essere morbida, questo l’auspicio dello stesso Mikhail Sergeyevic, è invece brusca al punto che nessun incarico gli è riservato se non quello di scomodo testimone del collasso. In Occidente la stella di Gorbacev continua a brillare, la Germania gli è grata per l’unificazione, la Giuria di Oslo gli conferisce il Nobel per la pace.
Un fiume di letteratura ricorda il traumatico passaggio dal più grande stato al mondo alla frammentazione di repubbliche indipendenti. Si aggiungono i ricordi personali di chi, a Bruxelles, seguì gli eventi nella loro drammatica successione.
Agosto 1991. E’ il mese off per gli uffici comunitari: chiudono fino ai primi di settembre, in coincidenza con le vacanze scolastiche in Belgio. Non ci sono i cellulari né la posta elettronica, i messaggi corrono via filo. Anche Gorbacev è in vacanza con la moglie Raissa sul Mar Nero, nel buen retiro dei dirigenti sovietici.
Da Mosca giunge la notizia che i nostalgici del comunismo puro e duro si muovono alla conquista del potere. Il golpe è motivato con la malattia del Segretario Generale. Egli gode invece di buona salute e non ascolta, se non quando è troppo tardi, chi lo mette in guardia nei confronti di quelli che ritiene fedeli collaboratori, in particolare di Vladimir Kriuckov, il Direttore del KGB, il servizio segreto.
Il rientro a Mosca è precipitoso. Le truppe dei ribelli non osano sparare sui manifestanti fedeli al Presidente. Il golpe rientra senza degenerare in guerra civile. Boris Eltsin cavalca la resistenza montando sul carro armato davanti alla Casa Bianca, la sede della Repubblica di Russia.
Si profila come il nuovo capo, salvo l’imbarazzo di liberarsi del capo ancora formalmente in carica. Il dualismo fra i due personaggi è sintetizzato dalle immagini d’epoca, che ritraggono uno Eltsin indisponente nei confronti di Gorbacev. Un atteggiamento che sarebbe stato inusitato appena qualche tempo prima.
La Comunità europea (l’Unione europea verrà nel 1993) s’interroga su come manifestare solidarietà a Gorbacev. Gli europei si stavano abituando all’URSS riformata e pacificata ai propri confini, la Germania stava valutando i costi dell’unificazione. Urge convocare un Consiglio europeo straordinario. Con i mezzi del tempo richiamare a Bruxelles centinaia di delegati, riaprire gli uffici chiusi, mobilitare la sicurezza e il cerimoniale non è lavoro da poco.
Il golpe si risolve rapidamente e l’allerta cessa. Tutti restano nei luoghi di vacanza, i Palazzi Berlaymont e Charlemagne, le sedi di Commissione e Consiglio, rimangono chiusi se non per i turni estivi.
Dicembre 1991. L’onda lunga del golpe si protrae fino a dicembre. La guida unitaria dell’Unione, tramite il Segretario Generale e Presidente, si è irrimediabilmente consumata. Le singole Repubbliche spingono per l’autonomia dal potere centrale. Soprattutto le più grandi, la russa in testa. Il Cremlino non controlla più gli eventi. La fine annunciata si rivela nella firma desolata delle dimissioni. Si spengono le luci sovietiche, si accendono, flebili, quelle della Comunità Stati Indipendenti, l’organizzazione light che dovrebbe sostituire l’URSS.
La comunità internazionale è presa in contropiede dall’accelerazione degli eventi. La preoccupazione principale riguarda il controllo dell’arsenale nucleare, in epoca sovietica distribuito fra tre Repubbliche. Occorre una sola mano abilitata a pigiare il fatidico pulsante della guerra, la mano deve rimanere a Mosca. L’uomo al comando non può che essere il Presidente di Russia nonché erede del seggio permanente al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Nel giro di sei anni, dal 1985 dell’insediamento al Cremlino al 1991 delle dimissioni, Mikhail Gorbacev ha svolto lo storico compito di liquidare l’impero sovietico senza strappi. Gli scossoni verranno dopo: si veda l’attuale tensione fra Russia e Ucraina.
di Cosimo Risi