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Commercianti, ristoratori e operatori culturali: “Ma quale ripresa? È un lockdown mascherato”

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La forma dissociata dalla sostanza. E’ l’atroce realtà di questi giorni. Formalmente esercizi commerciali, ristoranti, alberghi, cinema, teatri sono aperti. In realtà sono vuoti e potrebbero anche stare chiusi perché tanto la gente non ci va. Formalmente il coprifuoco non c’è più da tanto tempo, eppure camminando per le strade del centro nelle ore serali, anche nelle città più importanti, il clima è spettrale e non c’è nessuno in giro.

Sono gli effetti del terrorismo psicologico alimentato dai media, delle assurde regole su green pass, conteggio dei casi, quarantene, autosorveglianze. Tutti strumenti pensati e pubblicizzati come garanzie di libertà, cioè come supporti indispensabili per tornare alla normalità, ma in realtà rivelatisi i killer di ogni forma di ripartenza.

La psicosi del contatto fisico, l’ossessione dei tamponi e gli altri allarmi diffusi dalle istituzioni e dai mezzi di informazione stanno frenando ogni slancio e la situazione socio-economica rischia davvero di precipitare, al di là dei proclami di facciata sul Pil in crescita. Siamo a un lock-down di fatto, come denunciano Confesercenti e le altre associazioni di categoria di commercianti, imprenditori, operatori turistici e liberi professionisti.

La gente si auto-impone di rimanere a casa perché teme di prendere il Covid. Preferisce rinunciare a qualsiasi forma di mobilità e socialità ritenuta non indispensabile, anche perché teme per la sua salute ma anche per il calvario burocratico che scatta inevitabilmente dopo un tampone positivo: sospensione del green pass, quarantena, isolamento, disagi di ogni tipo e attese snervanti per riattivare il green pass dopo il tampone negativo.

Impensabile, in queste condizioni, con milioni di italiani bloccati in casa per un raffreddore, che l’economia e la società ripartano. Occorre cambiare le regole e occorre farlo in fretta, prima che la barca Italia affondi. La quarta ondata ha stroncato la voglia di fare acquisti. Perfino i saldi si stanno rivelando un flop.

Magazzini pieni di merce invenduta, negozi chiusi anche per mancanza di personale, licenziato o a casa perché positivo al Covid. Molte aziende sono tornate massicciamente allo smart working; fiere, congressi, concorsi, corsi di formazione, eventi sono stati annullati almeno fino a marzo. Tutto l’indotto ne risente, dalle pause pranzo ai pernottamenti alberghieri.

Nel frattempo l’inflazione rialza la testa, i costi delle materie prime si moltiplicano, anche a causa del caro bollette e dei rincari stratosferici di luce e gas. Stangate insostenibili per le tasche delle imprese e delle famiglie italiane, alle prese con nuove emergenze, non ultima quella della salute mentale, che assorbe risorse finanziarie e destabilizza il clima famigliare, soprattutto quando si è costretti a condividere per lunghi periodi spazi angusti.

La beffa per le imprese è che in molti casi non arriveranno neppure ristori e moratorie fiscali e creditizie perché formalmente i negozi possono stare aperti e dunque non hanno diritto alle somme normalmente erogate per le chiusure forzate. La politica è sempre più lontana dai bisogni reali della gente. I giochi di palazzo per il Quirinale sono l’emblema di uno scollamento crescente tra le reali emergenze quotidiane e l’insensibilità di chi gestisce la cosa pubblica.

Senza una sterzata gestionale e senza un cambio di approccio al Covid non ci potrà essere alcuna ripresa, anzi cresceranno povertà e divisioni sociali. L’auspicio è che qualcuno se ne accorga in tempo.

 

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