Su quanto dura la positività a Omicron non c’è una risposta fissa: gli studi hanno mostrato che, così come accade per le altre varianti del virus, non c’è un decorso uguale per tutti. C’è chi rimane positivo per meno di una settimana e chi per un mese. Di certo, ci sono dei fattori che influiscono. La durata della positività è di solito proporzionale alla gravità della malattia, mentre persone asintomatiche o con pochi sintomi tendono a negativizzarsi prima. Inoltre, i vaccinati tendono a rimanere positivi per meno tempo rispetto ai non vaccinati
Per quanto riguarda la capacità di infettare, alcuni studi concordano sul fatto che si è più contagiosi nei giorni in cui compaiono i sintomi. Da una ricerca statunitense pubblicata su Clinical Infectious Diseases e riferita al coronavirus in generale, non alla variante Omicron, emerge che l’infettività diminuisce col passare dei giorni: in media arriva a zero dopo circa 10 giorni nei pazienti con sintomi lievi o moderati, e dopo circa 15 in quelli più critici. In alcuni casi, però, si sono osservati positivi rimasti infetti anche fino a 20 giorni
Secondo l’ultimo rapporto dell’Istituto nazionale per lo studio delle malattie infettive giapponese, però, la fase “massima” della diffusione virale di Omicron avverrebbe più tardi rispetto ad altre varianti: il picco di trasmissibilità di Omicron – ossia della presenza di Rna virale – è stato osservato dopo 3-6 giorni dall’apparire dei sintomi o dalla diagnosi della malattia. Per le altre varianti il picco di contagiosità virale è stato identificato per i due giorni prima dell’apparire dei sintomi e i 3 giorni successivi al manifestarsi della malatti
Da uno studio condotto dalla Harvard T. H. Chan School of Public Health di Boston sui tamponi molecolari eseguiti dall’Associazione nazionale di basket degli Usa, emergerebbe poi che Omicron risulta più trasmissibile di Delta sebbene determini una carica virale simile e talvolta inferiore. L’elevata trasmissibilità della nuova variante, quindi, non sarebbe legata a una maggiore carica virale, ma alla capacità del virus di eludere le difese immunitarie. Inoltre, continua lo studio, a 5 giorni dal primo tampone il 50% dei positivi potrebbe essere ancora contagioso
Diversi esperti concordano sul fatto che Omicron, sebbene più contagiosa di Delta, porti a forme meno gravi di Covid. A confermarlo anche lo studio dell’University of California di Berkeley: dal confronto dell’andamento dell’infezione “in diretta” su 2 gruppi di pazienti ammalatisi a dicembre con Omicron o Delta, emergerebbe un minor rischio di ricovero del 52%, d’intensiva del 74%, di morte del 91%. Ma i ricercatori avvertono: “Gli alti tassi d’infezione possono comunque sopraffare i sistemi sanitari e tradursi in un numero assoluto elevato di ricoveri e decessi”
Anche nei bambini sotto i 5 anni, unica fascia di età per cui non è ancora disponibile il vaccino, Omicron sembra causare meno frequentemente forme aggressive di Covid. A confermarlo, uno studio condotto dalla Case Western Reserve University School of Medicine di Cleveland (Usa): mostra che la variante causa circa un terzo di ricoveri e accessi in terapia intensiva rispetto a Delta. Nonostante questi risultati, i ricercatori mettono in guardia: “Monitorare le conseguenze acute a lungo termine dell’infezione da Omicron e la propensione allo sviluppo di long-Covid”
Diversi studi si sono poi soffermati sul capire quali sono i sintomi più frequenti del coronavirus: sono emersi la tosse, i dolori muscolari e articolari, la febbre. Più rara per Omicron, rispetto ad altre varianti, la perdita temporanea di gusto e olfatto. Altri sintomi del coronavirus sono polmonite, problemi respiratori, perdita di concentrazione, vertigini. Inoltre, oltre all’apparato respiratorio, nei casi gravi il Covid può danneggiare anche altri organi
Sintomi tipici di Omicron, secondo uno studio sudafricano condotto su 78mila casi, sono mal di testa, mal di schiena nella zona lombare, il naso che cola, la congestione, il mal di gola, gli starnuti, la sudorazione notturna, i dolori muscolari e la stanchezza. Omicron, poi, secondo diverse ricerche, non sembra attaccare le basse vie respiratorie come le altre mutazioni
Anche un altro studio – condotto da un gruppo di ricercatori dell’Erasmus Medical Center di Rotterdam e pubblicato sulla piattaforma bioRxiv, che rende disponibili gli studi prima della revisione della comunità scientifica – dimostrerebbe che Omicron ha una grandissima capacità di infettare le alte vie aeree, ma perde efficienza quando raggiunge gli alveoli polmonari, le sacche in cui il sangue viene ripulito dall’anidride carbonica e arricchito di ossigeno e dal cui danneggiamento derivano le conseguenze più gravi delle polmoniti da Covid-19
Uno studio pubblicato su Science dai ricercatori dell’Università della British Columbia in Canada, intanto, svela il primo “ritratto” dettagliato della proteina Spike con cui Omicron apre la serratura delle cellule umane: la ricerca, condotta con una risoluzione quasi atomica, rivela come la struttura molecolare della proteina aumenti la trasmissibilità e l’elusività della nuova variante, fornendo preziose indicazioni per sviluppare nuove terapie più mirate ed efficaci
La proteina Spike di Omicron ha 37 mutazioni inedite, un numero che è dalle 3 alle 5 volte superiore rispetto alle altre varianti. L’analisi strutturale, realizzata grazie alla microscopia crioelettronica, indica che diverse mutazioni danno origine a nuovi legami ionici e idrogeno tra la Spike e il recettore Ace-2. Questi legami aumentano l’affinità del virus per le cellule umane. “Questi risultati indicano che Omicron ha una maggiore affinità di legame rispetto al virus originario, con livelli più simili a ciò che vediamo con Delta”, spiegano i ricercatori
Ulteriori esperimenti, aggiungono i ricercatori, dimostrano che Omicron ha una capacità di eludere gli anticorpi che è maggiore rispetto alle precedenti varianti: riesce infatti a sfuggire a tutti e sei i monoclonali testati, mentre mostra un’aumentata abilità nell’eludere gli anticorpi prodotti da persone vaccinate o guarite da Covid-19. “Omicron sfugge meno all’immunità indotta dai vaccini rispetto a quella generata dall’infezione naturale nei pazienti non vaccinati. Questo suggerisce che la vaccinazione rimane una delle nostre migliori armi di difesa”
Un altro studio, pubblicato sulla rivista The Lancet, conferma che la terza dose di vaccino anti-Covid aumenta gli anticorpi che neutralizzano Omicron: dai test di laboratorio, condotti presso il Francis Crick Institute e il National Institute for Health Research (NIHR) - UCLH Biomedical Research Centre, emerge che due dosi non sono sufficienti per questa variante. I livelli di anticorpi anti-Omicron sono 2,5 volte più alti dopo tre dosi rispetto a quelli indotti da due