Per Coldiretti, l’emergenza energetica si riversa infatti non solo sui costi di riscaldamento delle serre, ma anche su carburanti per la movimentazione dei macchinari e sui costi delle materie prime, fertilizzanti, vasi e cartoni. Il rincaro dell’energia non risparmia fattori fondamentali di produzione come i fertilizzanti con aumenti che vanno dall’urea, passata da 350 euro a 850 euro a tonnellata, alle torbe con un +20% mentre per gli imballaggi gli incrementi colpiscono dalla plastica per i vasetti (+72%) dei fiori al vetro (+40%) fino alla carta (+31%). Si allungano peraltro i tempi di consegna, che in qualche caso sono addirittura quintuplicati.
A differenza di altri settori, nei quali si cerca di concentrare le operazioni colturali nelle ore di minor costo dell’energia elettrica, le imprese florovivaistiche non possono interrompere le attività per evitare la morte delle piante o la mancata fioritura.
Le rose anziché le gerbere, per esempio, hanno bisogno di una temperatura fissa di almeno 15 gradi per fiorire; alle orchidee ne servono perlomeno 20-22 e in assenza di riscaldamento muoiono. Chi non riesce a far fronte agli aumenti è costretto a spegnere le serre e cercare di riconvertire la produzione.
Un trend che grava su un settore cardine per l’economia agricola nazionale, la quale vale oltre 2,57 miliardi di euro, generati da 27 mila aziende florovivaistiche attive in Italia, con un indotto complessivo di 200 mila occupati.
Secondo un’analisi Coldiretti su dati Istat relativi ai primi dieci mesi dell’anno, la scomparsa dei fiori italiani dai mercati rischia pure di favorire le importazioni da Paesi stranieri che nel 2021 hanno già fatto registrare un aumento del 20% in valore.
È dunque importantissimo aiutare il Made in Italy, tanto più in un momento così travagliato per la nostra economia. E questo a prescindere da talune dolorose considerazioni relative all’importazione di fiori – come di altri prodotti – da Paesi ove vige lo sfruttamento per il lavoro sottopagato e senza diritti.
di Tony Ardito