“È difficile dire quando una malattia è normale. Ognuna ha le sue particolarità, il suo impatto sulla vita delle persone e delle famiglie. Le malattie infettive, in più, hanno un grosso peso sulla società e sui sistemi sanitari. Però è anche vero che oggi possiamo guardare al futuro con più ottimismo per tre motivi. Gran parte della popolazione è immunizzata, la ricerca ha fatto enormi passi avanti e abbiamo più capacità di controllo della circolazione del virus. Il Covid resta comunque una malattia severa e come tale va trattata “.
“Come una condizione in cui non ignoriamo l’esistenza della pandemia, né ci sentiamo onnipotenti. Il virus va conosciuto, affrontato e controllato. I vaccini, i nuovi farmaci e gli strumenti diagnostici ci aiuteranno in questo. Qualora emergesse una nuova variante, la fronteggeremo con maggiore capacità e sapremo proteggerci sempre meglio”.
“Un virus diventa endemico quando si stabilizza all’interno di una popolazione e comincia a circolare in modo continuo. Questo, di per sé, non è un fatto positivo perché il Covid resta una malattia severa, ma può contribuire ad aumentare il livello di protezione della popolazione aumentando il numero di persone che sviluppano una risposta immunitaria”.
“I virus influenzali sono molti. Anche la tremenda spagnola del 1918 è stata causata da un virus di questo tipo. Molto spesso l’influenza causa infezioni leggere ma, nei soggetti fragili, può generare anche complicanze assai gravi. È possibile poi, come è successo nel passato, che emerga un ceppo più pericoloso degli altri. Per questo la circolazione dei virus influenzali viene monitorata costantemente per prevedere i ceppi che emergeranno l’anno successivo e mettere a punto i vaccini più adatti. Anche i coronavirus dovranno essere sottoposti ad un’attività di monitoraggio strettissimo per impedire che ceppi più pericolosi e diffusivi ci colgano alla sprovvista, danneggiando le persone e la vita sociale”.
“L’ultima ondata è stata sostenuta in gran parte dalla variante Omicron che, nonostante una circolazione virale elevatissima, sta avendo un impatto più lieve delle precedenti. Questo può essere attribuito a due motivi: il primo è che buona parte della popolazione è vaccinata o immunizzata dall’infezione naturale. Il vaccino non protegge al 100% dalla possibilità di contagiarsi – e ce lo aspettavamo – ma funziona molto bene nell’evitare la malattia severa. Il secondo motivo, suggerito da studi recenti, è che Omicron replica con più facilità nelle cellule delle vie aeree superiori dando, per questo, sintomi più lievi. In alcuni, però, può raggiungere gli alveoli polmonari e provocare la malattia di cui conosciamo la gravità”.
“Innanzitutto, perché sono i meno vaccinati. C’è, inoltre, un’ipotesi attualmente al vaglio degli studiosi secondo la quale la maggior suscettibilità dei bambini alla variante Omicron sia da attribuirsi a un diverso meccanismo di penetrazione nelle cellule di questa variante che, a differenza delle altre, non si avvarrebbe di un enzima, proteasi, meno espresso nelle cellule delle vie respiratorie dei bambini. Si tratta comunque di studi che necessitano verifiche e approfondimenti”.
“No, no. Fortunatamente stanno calando anche loro. Tutti gli indicatori in questo momento sono in discesa. Siamo più tranquilli”.
“La scelta sulle misure da adottare dipende da una molteplicità di fattori. Il nostro compito è studiare l’epidemia e seguirne l’andamento. Sappiamo che distanze e mascherine non possono da sole annullare una pandemia, possono però contribuire a rallentarla limitando la circolazione del virus, attenuando così il dolore e la sofferenza che ne derivano. Anche le epidemie di peste del passato si sono esaurite ad un certo punto, ma con uno strascico di morti e di distruzione della vita sociale enorme. Oggi abbiamo molti più strumenti per limitare questi danni, anche se gli agenti patogeni continueranno ad esistere e a circolare”.