La guerra in Europa (di Cosimo Risi)

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A circa trenta anni dall’ultima guerra in Europa, quella che segnò la fine della Jugoslavia, il Continente ridiventa teatro bellico. Il senso di smarrito stupore, in noi che credevamo obsoleto lo strumento militare almeno dalle nostre parti, è solo pari all’afflato che proviamo per le popolazioni.

I profughi impartiscono una lezione a quanti lesinavano sull’accoglienza quando si trattava di migranti provenienti dal Sud.

La Polonia  apre le porte ai “fratelli ucraini” e spera che la loro sia la prima tappa di un viaggio che li porterà in altri stati membri, anche verso quelli ai quali Varsavia e il Gruppo di Visegrad rifiutavano la solidarietà. L’Italia – e questo va a nostro onore – è pronta a fare la sua parte.

All’Istituto Diplomatico, l’insigne storico del Fascismo ci insegnò, a proposito delle guerre, che ne vanno cercate le cause remote e i motivi contingenti.

Nel caso dell’attuale conflitto, i motivi contingenti sono ammantati di “disinformatia” (in linguaggio alla moda: fake news). Fra le notizie più sconcertanti è che l’invasione mira a denazificare l’Ucraina e proteggere le collettività russofone dal genocidio.

Che in Ucraina operino gruppi neonazisti è  certo. E’ acclarato che i nazisti ucraini furono feroci sodali dei tedeschi nel ripulire il paese dai nemici del Reich.

Ma è un’enormità pensare che il Presidente Zelenskyj, ebreo e con parenti inghiottiti dalla Shoah, coltivi simpatie per il nazismo.  Lo stesso dicasi del genocidio che si praticherebbe a carico dei russofoni del Donbass.

Le cause profonde riportano alla stagione della perestrojka voluta da Mikhail Gorbacev. A rileggere le sue memorie, egli avrebbe concordato con il Presidente George Bush un gentlemen’s agreement: Mosca dà il via libera all’unificazione tedesca e poi all’ingresso della Germania unificata nella NATO, Washington s’impegna a non espandere l’Alleanza nella zona di sicurezza dell’URSS. Gorbacev ammette “l’ingenuità” di non avere formalizzato l’intesa.

Di fatto, dopo il 1991, la NATO ha accolto le tre Repubbliche baltiche, già parte dell’URSS, e alcuni paesi del blocco orientale. Gli stessi hanno anche aderito all’Unione europea. Il che ha portato il blocco occidentale, in varie forme di aggregazione, alle porte della Russia.

L’estensione appare minacciosa ai Russi. Alcuni notano che l’accerchiamento è una loro ossessione dall’epoca zarista. La conquista dei territori limitrofi si giustificava con la necessità di dotarsi di un cuscino di sicurezza attorno a Mosca.

L’argomento rispunta nelle dichiarazioni dei dirigenti attuali e ne causa l’assertività, mancando da parte occidentale le rassicurazioni nel senso da loro auspicato.

In altri termini: se per via diplomatica non riconoscete un nostro interesse vitale, noi  lo tuteliamo da soli con le maniere forti. Di qui la tentazione di rimpiazzare il governo  ucraino con un governo amico, semmai guidato dall’ex Presidente Yanucovich. Nella narrazione russa, Yanucovich fu esautorato nel 2014 da un colpo di mano ordito da forze neofasciste e costretto all’esilio.

La situazione sul terreno è incerta, non sarebbe incerta la conclusione del conflitto se questo continuasse. Si aprono spiragli di trattativa, diretta fra le parti e indiretta con i buoni uffici di potenze terze.

Colpisce l’attivismo di Israele. Il Primo Ministro Bennett ordina alla sua Ambasciata a Kiev di aiutare ad evacuare anche i cittadini arabi di Libano, Siria, Egitto. Parla al telefono con Putin.

Si propone a mediatore contando, da una parte, sull’inossidabile amicizia con gli Stati Uniti e, dall’altra, sulla convergenza di interessi con la Russia in Medio Oriente.

Alcuni Europei invocano l’intervento di Angela Merkel, la sola personalità europea che dei Russi conosce il linguaggio e gli stilemi.  Sedici anni di Ostpolitik alla Cancelleria federale non sarebbero passati invano.

di Cosimo Risi

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