Alexis de Tocqueville
Navigando su facebook si incontrano spunti interessanti. Vieni attratto da argomenti che ti rimuginano nella testa e ti sollecitano a pensare, ricordare, fare analisi. Così è stato questa mattina. Mi ha attirato la frase postata dal giornalista, amico, Paolo Romano di Alexis Tocqueville sul concetto di “tempo perso”.
È da un po’, infatti, che non impreco più quando sono fermo in una fila di auto o in una camera d’attesa. Sempre più spesso, mi auguro che quell’attesa si protragga… è tempo dedicato a me stesso… Leggo se ho un giornale o un libro con me, oppure telefono ai miei figli, o a un amico che non sento da tempo. Quei momenti che una volta ritenevo “tempo sottratto a costruire” mi appare oggi un intervallo “in più”, inaspettato, da regalare a me stesso. Cerco sempre con maggiore frequenza di dedicare istanti a quelle cose (per esempio: leggere un bel libro, ascoltare musica o fermarsi semplicemente a riflettere,) che prima ritenevo non produttive.
Il tempo.
Ma cosa è il tempo? Come si misura? Un’ora è solo 60 minuti o 3600 secondi? Per un calciatore è due terzi di una partita di calcio, per i virologi è il numero di morti di Covid, per i giornalisti il numero di bombe sganciate in Ucraina, per un epidemiologo è il numero di eventi (nascite, morti, incidenti…) in uno spazio temporale, Si può misurare in baci ricevuti, in viaggi effettuati, in articoli scritti, in parole pronunciate…
Il tempo assume una misura diversa per ogni epoca e per ognuno di noi.
Che valore ha il tempo?
Chi è deceduto a venti anni per difendere la libertà ha vissuto meno di chi si nasconde per sempre?
Chi ha vissuto di più Raffaello o quel pittore sconosciuto che oggi ha cento anni?
Quanto ha vissuto Jimi Hendrix? O vive ancora?
Il tempo che scorre… continuo a riflettere.
Mentre prendo dalla libreria un libro e mi siedo in poltrona per leggere tranquillo, mi ritornano in mente le parole del mio amico Cesare Rinaldi. Una discussione fatta in una notte di tanti anni fa.
“Fino ai quarant’anni non ho mai pensato al tempo, poi ho iniziato a vivere con angoscia il suo scorrere e a misurare con ossessione i momenti che mi separavano dalla vecchiaia e mi apparivano terribilmente pochi. L’ho vissuto, con angoscia, mi sembrava che corresse sempre più velocemente e mi conducesse in fretta troppo lontano.
Poi, un giorno, un forte dolore al petto, il ricovero in ospedale: una di quelle malattie di cuore per le quali puoi anche morire, una di quelle malattie che ti segna, comunque, per tutta la vita. In quel momento accadde qualcosa di imprevisto: feci pace con il tempo. Iniziai ad apprezzare il suo scorrere.
Solo il suo fluire e il mio esserci, mi avrebbe consentito di leggere il futuro. Proprio nel momento in cui consideravo il tempo troppo breve cominciai a pensare che lo spazio in cui dovevano realizzarsi gli appuntamenti di una vita si era maledettamente dilatato e c’era il rischio che non potessi percorrerli tutti: vedere mia figlia diventare donna e poi sposarsi, vedere i suoi figli nascere e poi crescere.
Da allora ogni evento ed ogni anno passato è diventato una conquista: non più un anno in meno della mia vita terrena, ma una conquista di quello che sarebbe potuto non essere. Lo scorrere del tempo non è solo un avvicinarsi, ma anche un raccogliere.
Prima il tempo correva e non riuscivo a raggiungerlo. Cercavo di correre più in fretta di lui, nella sua stessa direzione, non ci riuscivo. Ora provo ad andargli incontro per percorre la strada con lui… Quando rallento gli chiedo di aspettarmi perché condivida con me la via, senza fretta, per attraversare con lui spazi infiniti, andando comunque avanti.
Quando avverto il rumore del tempo che sta per investirmi, gli resisto per non rimanere indietro, gli resisterò il più a lungo possibile, prima di lasciarmi andare. Percorreremo gli ultimi anni insieme prima che mi fermi e lo lasci libero di riprendere a correre veloce, da solo…”.
Con il libro tra le mani continuo a pensare. Rifletto sulle possibilità concrete che abbiamo per poter dilatare un poco il tempo a nostra disposizione. Non bisogna aspettare un dolore al petto per ricordarcene.
La prevenzione, fatta bene, ci consente, con grande probabilità, di allungarlo; è necessario contenere tutti i fattori di rischio: colesterolo, pressione arteriosa, peso corporeo, glicemia, non fumare, praticare attività fisica in maniera costante, alimentarsi in maniera corretta… è possibile!
Infine, abbandono i miei pensieri, apro il libro e leggo.
Nazim Hikmet.
“I giorni sono sempre più brevi / le piogge cominceranno. / La mia porta, spalancata, ti ha atteso. / Perché hai tardato tanto? / Sul mio tavolo, dei peperoni verdi, del sale, del pane. / Il vino che avevo conservato nella brocca / l’ho bevuto a metà, da solo, aspettando. / Perché hai tardato tanto? / Ma ecco sui rami, maturi, profondi / dei frutti carichi di miele. / Stavano per cadere senza essere colti / se tu avessi tardato ancora un poco”.
Enzo Capuano
Quante volte ad una ricorrenza ho pensato: che cosa stupida misurare il tempo, dargli arbitrariamente un’ unità di misura per impostare la nostra vita su date, anni, giorni, ore, secondi, quando il suo fluire è cosi incommensurabile, sfuggente, incostante, come l’acqua di un fiume dalla sorgente alla foce, ora rapida ed impetuosa, ora calma, ora acquitrino. Altrettanto surreale voler distinguere il tempo “utile”, monetizzabile, dal tempo del riposo, libero da incombenze quotidiane, da quello dedicato a se stesso, “perso” ma non improduttivo, che arricchisce l’individuo col benessere fisico o immateriale, con soddisfazioni, gratificazione, conforto, piacere, rendendo più grata la sua esistenza. Anch’ io, deposto l’habitus lavorativo, ho “investito” molto del mio tempo libero in attività inutili quali leggere libri, viaggiare, fare foto, passeggiare per sentieri, raccogliere sassi, erbe e conchiglie, ammirare panorami e tramonti, dipingere ad olio, tempera, acquerello, acrilico, tentare la terracotta, commentare le tante cose storte di questa società, scrivere poesie. Una tra tante, per quel che possa valere, la lascio qui.
Volgendo lo sguardo.
Ho incontrato l’Amore, aveva il tuo viso / il giorno senza tempo ove incrociammo i destini,/ e fu che al mio cammino si affiancò la tua mano, / e fu che il cuore mio abbandonò ogni timore. / Il tuo viso mirando, mi diceva: son nato adesso, / se non per te, per nient’altro, tra brulli pensieri / sbocciavan fiori di felicità ignota, colori / colavan sulla grigia lavagna delle ore./ Perso negli occhi tuoi, volgevan stagioni, / il tempo, il passo inesorabile frenava, / allontanando l’addio alla giovinezza, / pietoso leniva le ferite del dolore. / E insieme or scendiamo le scoscese scale / che portano a casa, ci arriveremo col buio,/ mentre si va, abbracciati all’ultimo sole.