Le immagini che arrivano dalle città assediate mostrano rifugiati in condizioni di sovraffollamento, l’alleato perfetto per i virus. L’ultimo dato dei contagi da Covid-19 è fermo al giorno dell’invasione russa, quando erano circa 27mila a fronte del 34,5% della popolazione che aveva completato il ciclo di vaccinazioni. Dopo un mese di guerra e con la precarietà della situazione non servono numeri ufficiali o un bollettino medico per temere un aumento dei nuovi positivi, aggravato da una somministrazione delle dosi pressoché immobile.
Ma la paura del coronavirus non è l’unica. In Ucraina vivono circa 250mila persone, tra adulti e bambini, affette da HIV. Per trovare un numero più alto nell’Europa orientale e nell’Asia centrale bisogna andare proprio in Russia. L’altra grande piaga ucraina si chiama tubercolosi, con 17.533 nuovi casi registrati solo nel 2020, con la sua forma più grave, la MDR-TB, resistente ai normali farmaci. Odessa, città simbolo di questo conflitto, cinque anni fa aveva il tasso più alto di tutto il Paese con 110 casi ogni 100mila abitanti.
Fino a un mese fa, prima che Vladimir Putin desse il via alla sua “operazione speciale”, a questi cittadini venivano garantite cure che permettevano di condurre una vita normale, tanto che nella città se ne riusciva a curare il 43%. Dal 2010, le nuove infezioni di HIV e le diagnosi di tubercolosi sono diminuite rispettivamente del 21% e del 36%. Dal 24 febbraio trovare i medicinali nelle farmacie è pressoché impossibile.
Fonte ‘HuffPost
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