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Non è più psicosi, è Guerra fredda (di Cosimo Risi)

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Tempo fa scrissi su queste pagine di psicosi della Guerra fredda. Al pari di altri disturbi psichici poteva essere curata dallo psichiatra con buone parole e farmaci. Le prime aventi il nome di diplomazia, i secondi quello di armi. Alle armi, si sperava, l’ultima parola.

Nel teatro della guerra si recita la pièce dal vivo delle armi vere, con ambedue le parti che ne impiegano di più potenti e distruttive. Il bilancio delle vittime  supera le decine di migliaia. L’entità delle distruzioni è incommensurabile per ora, altre infatti ne seguiranno.

I profughi, dopo un mese, ammontano a 3,8 milioni. La guerra balcanica (1991-95) ne produsse 1 milione, la guerra in Kosovo (1999) 0,7 milioni, il periodo di punta dei migranti (2016) 0,9 milioni.

L’Ucraina mostra cosa significhi l’aggressione militare, senza che si ricorra alle armi di distruzione di massa, quelle che al solo pronunciarle mettono i brividi.

La triste euforia del conflitto pervade gli animi. Ha voglia Papa Francesco a dichiararsi sgomento dalle intenzioni di arrivare al 2% del PIL per riarmarsi. Il timore della guerra generalizzata, e di nuovo come nel Novecento sul territorio europeo, mette le ali anche agli spiriti pacifici.

Fra difesa comune europea e solidarietà NATO è tutto uno strombazzare un impegno fermo contro il nemico. Che non è il popolo russo in quanto tale, ma il suo scellerato Governo.

Nella notte tutte le vacche sono scure, è perciò arduo distinguere fra popolo e governo. Il primo, per quanto riluttante, è chiamato a combattere dalla coscrizione obbligatoria ed a piangere i caduti. L’intera Europa è calata in un’atmosfera sepolcrale che neppure i Romantici alla Ugo Foscolo riuscirebbero a cantare.

Alcune facili previsioni sono possibili nello scenario attuale. La perestrojka (ristrutturazione) di Mikhail Gorbacev, datata 1985, è cancellata di colpo: trentasette anni di distensione bruciati. E, con essa, l’ammissione della Russia fra le nazioni civilizzate con cui scambiare merci, persone, sentimenti.

Non ci recheremo più a San Pietroburgo nelle notti soleggiate di giugno né ammireremo i tesori del Cremlino. Il Palazzo tornerà ad essere oggetto di quella particolare stirpe di studiosi chiamati “cremlinologi”.

Essi ripropongono i vecchi interrogativi. Dove stanno il Ministro della Difesa e il Capo di Stato Maggiore? Colpiti da raffreddore come qualche loro predecessore sovietico? Sono fondate le voci di golpe attribuite ai dirigenti del Servizio Segreto? La nebbia è ridiscesa sulla Piazza Rossa, al posto del feretro di Lenin aleggia il fantasma di Brezhnev con la sua dottrina della sovranità limitata.

Assistiamo alla riabilitazione in corsa della Cina. Fino a gennaio, nei documenti americani e, in maniera più soffusa, negli europei, si distingueva fra Russia e Cina. La prima era un concorrente, la seconda un rivale strategico.

Tradotte dal diplomatichese, le definizioni indicavano che con Mosca si potevano concludere affari, tanto stiamo sulla stessa barca (l’Europa), con Pechino bisognava spingere il confronto a fondo.

Ora la Russia è il nemico da contenere fino all’arretramento, mentre la Cina è invocata come il perno della mediazione. Evidentemente la NATO e il G7 e i Ventisette danno scarso credito alle mediazioni di Turchia (che è membro NATO) e Israele (amico inossidabile degli USA).

Il nuovo ordine mondiale evocato da Vladimir Putin a sostegno dell’invasione si riorganizza sempre attorno ai tre pilastri di USA, Cina, Russia. Solo che, a differenza dei suoi piani, la Russia figura in veste di terzo incomodo, se non proprio di paria per gli Occidentali.

L’Unione europea  si ricompatta sotto la bandiera dell’unità occidentale. Pare un segno di forza, ed invece ribadisce la debolezza della visione, cui non basta la Bussola strategica a porre rimedio. Il Consiglio europeo del 25 marzo è il vertice del rinvio al vertice successivo.

Il solo dato certo è il riconoscimento della leadership americana. Il Presidente Biden è stato il protagonista delle riunioni di Bruxelles. E’ comprensibile l’ansia europea di aggrapparsi all’amico sicuro invece che seguire la rotta incerta dell’autonomia strategica.

Sullo sfondo si collocano alcuni temi forti del pensiero occidentale. I diritti umani non sono più una discriminante nei rapporti internazionali. La lotta alla fame nel mondo non è più imminente. La transizione energetica è un accessorio opzionale.

Il COVID è perito sotto le bombe di Mariupol. L’AIFA decide che la quarta dose di vaccino non serve. Gli ultrasettantenni, almeno loro, hanno un motivo di sollievo.

di Cosimo Risi

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