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Nebbia mentale post Covid, “effetti simili a quelli correlati alla chemioterapia”

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La “nebbia cognitiva”, dall’inglese brain fog, è tra i risvolti negativi più comuni che possono essere lasciati in eredità dal Covid-19. Di questo disturbo, che sembra comportare sensazione di confusione e smarrimento, difficoltà a concentrarsi, lentezza nell’elaborare i pensieri e problemi di memoria, si sa ancora poco, ma secondo gli esperti avrebbe una sintomatologia non così diversa da quella sperimentata da chi soffre di simili effetti collaterali dopo la chemioterapia fatta per curare un tumore o dalle persone affette da sindrome da fatica cronica, Alzheimer e altri disturbi post-virali.

Secondo un recente studio condotto dell’Università di Oxford, che ha indagato i cambiamenti a livello cerebrale di 785 soggetti di età compresa tra 51 e 81 anni, l’infiammazione neurologica alla base di questi disturbi potrebbe infatti essere una spiegazione comune.

“Ad oggi i meccanismi che collegano il virus con la manifestazione di nebbia cognitiva non sono del tutto noti”, ha spiegato Valentina Di Mattei, docente presso le facoltà di Psicologia e Medicina all’Università Vita-Salute San Raffaele al Corriere della Sera, sottolineando che “come per tutto ciò che riguarda Covid e le sue conseguenze a lungo termine, abbiamo ancora tante domande e poche risposte”.

“Non ne sappiamo abbastanza per poter trarre delle conclusioni definitive. Certo è che, come quest’ultimo studio su Nature, anche altre indagini hanno ormai rilevato similitudini tra la nebbia cerebrale post Covid e i sintomi sperimentati dai pazienti che fanno chemioterapia per il cancro”, ha aggiunto.

Similitudini nella sintomatologia che sono state rilevate anche con sclerosi multipla, sclerosi laterale amiotrofica, morbo di Parkinson, Alzheimer e con altre sindromi post-virali successive a infezioni con virus influenzali, Epstein-Barr, HIV o Ebola.

“L’analogia è basata sull’analisi di processi infiammatori apparentemente simili. Anche in base alle conclusioni dei ricercatori di Oxford potrebbe essere una neuro-infiammazione causata dall’infezione Sars-CoV-2 a spiegare l’annebbiamento cerebrale che interessa tante persone”, ha chiarito Di Mattei.

Nel corso dello studio, pubblicato su Nature e finalizzato a indagare le conseguenze cerebrali a lungo termine del Covid-19, i ricercatori britannici hanno analizzato le cartelle cliniche di 785 soggetti di età compresa tra 51 e 81 anni, i cui dati sono raccolti dalla biobanca britannica.  Ciascuno dei partecipanti è stato sottoposto a test cognitivi e a due scansioni cerebrali, in media a 38 mesi di distanza.

L’analisi delle scansioni cerebrali ha riscontrato vari effetti a lungo termine a seguito dell’infezione, tra cui una maggiore riduzione dello spessore della materia grigia nella corteccia orbitofrontale e nel giro paraippocampale, delle regioni associate all’olfatto e alla memoria di eventi.

Inoltre, nei soggetti che avevano contratto il Covid-19 è stato osservato anche un maggiore declino cognitivo tra le due scansioni, rispetto al resto del campione. Al momento, come sottolineato dai ricercatori, non è ancora chiaro quali siano le implicazioni funzionali, né se il danno sia reversibile.

Quanto alla durata dell’annebbiamento cerebrale post Covid, secondo un nuovo studio pubblicato sull’European Journal of Neurology dai ricercatori dell’Università degli Studi di Milano, dell’Asst Santi Paolo e Carlo e dell’Istituto Auxologico Italiano, sembra diradarsi (ma non sparire) dopo un anno.

La ricerca ha indagato la sintomatologia post infezione da coronavirus Sars-CoV-2 su 76 pazienti sottoposti a diverse terapie con ossigeno in base alla gravità. Dall’analisi è emerso che il 63% dei partecipanti ha manifestato un deficit cognitivo 5 mesi dopo le dimissioni ospedaliere e il disturbo persisteva anche dopo 12 mesi nel 50% degli interessati.

“Il nostro studio conferma e amplia i risultati di studi precedenti, dimostrando che i deficit cognitivi come il rallentamento mentale e le difficoltà di memoria possono essere osservati anche dopo un anno dal contagio e potrebbero interferire con il lavoro e la vita quotidiana”, ha commentato la coordinatrice del lavoro, Roberta Ferrucci, docente di Psicobiologia e Psicologia fisiologica alla Statale di Milano.

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