Se è vero che da quel tempo sono trascorsi molti decenni e sono cambiati profondamente non solo i presupposti dell’educazione e del sistema scolastico, e, dunque, anche il rapporto della infanzia con il gioco e con l’apprendimento, resta altrettanto vero che i bambini trascorrono intere giornate davanti a schermi di ogni dimensione, spesso cercando nel virtuale una fuga dalla loro solitudine.
A chi scrive, però, sembra affermarsi una diversa e più grave emergenza, che prescinde dalle istanze inclusive e dalla lotta alla dispersione scolastica, che ha ad oggetto la crescente de-funzionalizzazione del sistema educativo in quanto tale.
Mi chiedo, allora, se un Tribunale può condannare una insegnante a quasi due mesi di reclusione, solo per aver sgridato (magari anche con toni vivaci) i bambini di una quinta classe delle scuole elementari, i quali, incuranti dei richiami della bidella, hanno imbrattato le pareti del bagno con i loro escrementi.
I genitori, a fronte di questa presunta lesa maestà della integrità psichica dei propri educatissimi figlioli, hanno ritenuto di sporgere denuncia e un Giudice di questo nostro Bel Paese ha finanche condannato la povera insegnante.
In questi anni, abbiamo assistito incuranti all’involuzione del rimbambimento narcisistico (utilizzo l’efficace espressione di Massimo Gramellini) della “categoria” dei genitori, i quali intervengono in ordine alle valutazioni date dal corpo docente sui risultati di apprendimento dei loro valorosi virgulti, proponendo, un tempo inedite, iniziative giudiziarie, con innumerevoli sentenze dei TAR che “correggono” giudizi e sovvertono ogni criterio di valutazione.
Il fenomeno si è ormai così ampliato da toccare il terreno della formazione universitaria, con incursioni dei genitori e, a volte, delle stesse organizzazioni studentesche, in un crescente abrasivo del ruolo del docente.
Si tratta di iniziative assunte da genitori che, in genere, appartengono alle fasce più abbienti della società, i quali, in un lungo percorso di adattamento casalingo, hanno educato i loro valorosi giovani a coniugare vittimismo e strafottenza consolidata, spesso accompagnata da una crescente ignoranza, che sfiora l’analfabetismo strutturale.
Si tratta di una vera e propria “culpa in educando” che vanifica ogni sforzo perseguito dalla scuola, crea modelli comportamentali capaci di minare, con il loro consolidarsi nel tempo, le ragioni stesse della “istituzione scolastica”, gettando nel più profondo scoramento gli educatori.
In questo fenomeno dobbiamo individuare il germe della dissoluzione che affligge la nostra società, sempre più senza regole, senza doveri e senza principi di responsabilità. E’ giunto il tempo di non restare più in silenzio, di reagire e di apprestare idonei strumenti, perché no, anche normativi, che evitino le indebite interferenze di genitori, i quali si scagliano contro educatori che, a volte, tentano solo di supplire alle carenze di padri e di madri.
Bisognerebbe far capire, ad esempio, che scrivere è pure “scoprire gli altri” , che le parole sono sempre suoni e colori, poste alla base di una scuola inclusiva, la quale innanzi tutto vuole educare, credendo nello studio come occasione di crescita morale e civile della società.
Giuseppe Fauceglia