Da Mondadori esce L’ultimo segreto, il libro postumo di John Le Carré (1931 – 2020). La bandella di copertina lo definisce “il più grande cronista della nostra epoca”, così grande da chiedersi cosa si debba al proprio paese quando non lo si riconosce più.
Nella postfazione il figlio dà conto del tormento dell’Autore nel dare alle stampe un manifesto critico nei confronti del Servizio, che lo accolse da giovane agente e gli diede spunti per l’intera carriera letteraria. E’ il dubbio che Le Carré, se fosse vissuto fino al tormentato 2022, avrebbe probabilmente rinverdito con altre amare riflessioni.
Il ritorno dell’odio, il combustibile di qualsiasi conflitto, tende a presentare la propria posizione come ragionevole e quella altrui come irragionevole.
A leggere certe interviste a ex consiglieri del Presidente Putin, i consiglieri in carica non hanno facoltà di parola se persino il portavoce ufficiale del Cremlino, il loquace e baffuto Dmitry Peskov, viene zittito per aver accennato a perdite significative. La guerra, nel racconto dell’aggressore, comporta perdite solo per l’aggredito. Una gita fuori porta o poco più, la resistenza dell’Altro è ostinazione nel rifiutare il rapporto di forze.
La riaffermazione del panslavismo contro l’europeismo. In questo caso suona singolare: più che un conflitto fra potenze estranee è una guerra civile fra parenti che hanno lasciato la comune casa sovietica appena trenta anni fa e nel frattempo non hanno trovato le ragioni della vicinanza senza calpestarsi. Sono note le accuse che Mosca muove a Kiev di efferatezze nelle zone russofone, oltre all’emarginazione della lingua russa dal vocabolario ufficiale.
La protezione delle minoranze perseguitate fino a riportarle sotto l’ala della madre patria. Il ricordo al caso dei Sudeti, il pretesto per la Germania nazista per ripulire l’Est, torna prepotente. Se ciascun paese proteggesse con le armi i connazionali (ma si possono considerare tali coloro che vivono altrove?), l’Europa diverrebbe un immenso terreno di gioco scorretto, che nessun VAR riuscirebbe a sanzionare.
L’intangibilità delle frontiere fu già violata in Crimea, nel 2014 scattò la motivazione “democratica” del referendum popolare che votò l’annessione alla Madre Patria. La motivazione fu accettata dalla comunità internazionale come il male minore per prendere atto del fatto compiuto.
Ora le frontiere sono violate in maggiore profondità fino a minacciare l’integrità territoriale dell’Ucraina. Il solito ex consigliere profetizza una parte amica della Russia e un’altra, ridimensionata nello spazio e nelle ambizioni, amica dell’Occidente e smilitarizzata.
Il richiamo dell’Unione europea, proprio quando l’esausta Gran Bretagna di Le Carrè ne è uscita e nel timore che Marine Le Pen all’Eliseo faccia il resto, continua ad esercitarsi sui vicini.
Per l’Ucraina il percorso è preferenziale. Ursula von der Leyen consegna un questionario a Zelenskyy: rispondi correttamente alle domande e riceverai lo status di candidato. Kiev spera nella procedura abbreviata: addirittura al Consiglio europeo di giugno.
Solo dopo cominceranno le trattative vere e proprie, da basare sul vaglio dell’ordinamento ucraino e del suo potenziale allineamento all’europeo.
La procedura di adesione marcia a colpi di unanimità dei Ventisette. Siamo certi che tutti gli stati membri saranno pronti a sconti eccessivi, specie se il negoziato di adesione si terrà fuori dall’emozione della guerra? O i riluttanti saranno tacciati di tardivo putinismo? E come la si mette con l’articolo del Trattato sull’Unione europea, simile al famoso articolo 5 NATO, che obbliga gli stati membri alla solidarietà in caso di minaccia ad uno di loro?
Il questionario von der Leyen forse omette queste domande. Meglio lasciarle ad una Commissione diversa, la sua scade infatti nel 2024.
Un ritorno al passato, un arretramento dell’orologio alla non memorabile epoca dell’Impero del Male (l’URSS) e del Grande Satana (gli USA). L’altro testimone del tempo, Mikhail Gorbacev, tace dall’ospedale.
di Cosimo Risi