Il discorso al Parlamento europeo risale ai primi di maggio, sembra preludere all’oggi, il 9 maggio della Festa d’Europa. Dell’allocuzione gli osservatori notano l’aggettivo “pragmatico” che qualifica e specifica il federalismo ideale.
Si direbbe che Draghi prenda le distanze dal federalismo “integrale” della scuola di Altiero Spinelli a favore del funzionalismo della scuola di Jean Monnet. Il punto in cui cita i passi graduali della Dichiarazione Schuman (1950) incoraggia l’interpretazione.
Ed infatti: “Abbiamo bisogno di un federalismo pragmatico, che abbracci tutti gli ambiti colpiti dalle trasformazioni in corso, dall’economia, all’energia, alla sicurezza. Se ciò richiede l’inizio di un percorso che porterà alla revisione dei Trattati, lo si abbracci con coraggio e con fiducia.”
L’integrazione europea “ha seguito un percorso graduale”, fatto di slanci e di arretramenti, tale da inverare la previsione di Robert Schuman che il risultato andava costruito “pezzo per pezzo, settore per settore”. La Comunità, poi Unione, è frutto di uno sforzo considerevole e non di un impulso “come città ideale”.
Lo scenario su cui riflette Draghi presenta la doppia crisi della pandemia e della guerra. Alle conseguenze economiche e sociali della prima l’Unione ha risposto con Next Generation EU: lo sforzo di tutti a vantaggio di ciascuno, e l’Italia è la massima beneficiaria.
Alle conseguenze del conflitto occorre una risposta parimenti coraggiosa. Il conflitto mette in tensione tutti gli aspetti della vita pubblica: dall’accoglienza ai profughi, mai così numerosi in così breve tempo, al rincaro dell’energia, al balzo dell’inflazione che erode il tasso di crescita atteso da NGEU.
La crisi è la più grave del dopoguerra, anche sotto il profilo della psicologia di massa per un popolo disabituato all’idea stessa della guerra. La reazione può essere retriva o progressiva. La scelta italiana è per il progresso. Se occorre rivedere l’assetto istituzionale come definito nel Trattato, ebbene si ponga mano alle modifiche.
La Bussola strategica per dotare l’Unione almeno di un germe di difesa comune è un passo corretto, va completata con la decisione di unire le forze. La spesa complessiva dei Ventisette supera la russa, ma i sistemi sono più frammentati e meno efficaci.
Va cambiata la regola dell’unanimità in seno al Consiglio. Una prova palmare è la riserva dell’Ungheria su un capitolo del pacchetto sanzioni alla Russia. Altri esempi sono nell’archivio dei negoziati europei, e senza ricorrere all’opposizione britannica di principio all’Unione sempre più stretta.
Urge invece un’Unione sempre più stretta: e perciò va affermato il principio generale di decidere a maggioranza. Urge un’Unione più larga: inclusiva dei paesi che stanno negoziando l’adesione affinché i Balcani occidentali non cedano a Mosca in chiave anti-occidentale.
Draghi rinnova il motivo per cui l’Italia, con gli stati meridionali dell’Unione, dovrebbe porsi da ponte verso il Sud del mondo, dai paesi arabi agli africani. La politica non sempre è stata al servizio di questa ambizione, divenuta con il tempo più una petizione di principio che una strategia concreta.
La nuova cortina di ferro è calata sull’Europa. La Russia da partner strategico si palesa rivale minaccioso. Inquietano le notizie da Kaliningrad, per ironia della sorte la città di Immanuel Kant. Si simula l’impiego di armi nucleari, si ha la triste prova che dalla simulazione ai preparativi il passaggio è breve.
La conclusione del discorso rispecchia la premessa: “Dobbiamo superare il principio dell’unanimità, da cui origina una logica intergovernativa fatta di veti incrociati, e muoverci verso decisioni prese a maggioranza qualificata.
Un’Europa capace di decidere in modo tempestivo, è un’Europa più credibile di fronte ai suoi cittadini e di fronte al mondo.”
di Cosimo Risi