Lo stato di salute mentale di Cosimo Di Lauro, boss napoletano morto in carcere a Milano, sarebbe stato compromesso da tempo: per i suoi legali era ormai diventato impossibile rapportarsi con il loro cliente. Rifiutava di partecipare agli incontri e rifiutava le notifiche. Gli avvocati, in più occasioni, hanno chiesto all’autorità giudiziaria di disporre una perizia finalizzata a valutare la sua capacità di intendere e di volere ma le istanze sono sempre state rigettate.
In tutti i processi che si sono celebrati dal 2005 in poi è stato chiesto di verificare la capacità dell’imputato di intendere e di volere e la capacità di stare in giudizio, richiesta della difesa che è sempre stata rigettata sebbene dal 2007 Cosimo presentasse, come riportato dalle relazioni presentate, segni di instabilità mentale: pseudo-allucinazioni uditive, reazione depressiva ansiosa e turbe del sonno.
‘Il principe’, ‘The designer don’, “o chiattò. Cosimo Di Lauro, classe 1973, nella galassia del crimine organizzato di Napoli si era guadagnato un posto di primo piano ben prima di diventare il reggente dell’omonimo clan nel periodo in cui il quartiere di Scampia entrò nelle cronache internazionali per la cruenta lotta tra cosche legata al controllo di quella che era la piazza di spaccio più grande d’Europa.
Il primo soprannome glielo avevano regalato i cronisti, anche perchè era il primogenito di Paolo Di Lauro, detto ‘Ciruzzo ‘o milionariò, capoclan di quel quartiere dell’area Nord di Napoli che aveva creato un impero sullo spaccio di droga grazie ai suoi contatti nella penisola iberica che gli assicuravano fiumi di stupefacenti per alimentare la sua rete di pusher.
Il secondo era legato alla sua passione di per abiti, accessori e oggetti firmati e vistosi. Quando Paolo Di Lauro divenne latitante, nel settembre 2002, la gestione della cosca passò naturalmente nelle mani di Cosimo, che centralizzò sempre di più l’affare droga, uno di quelli più redditizi del gruppo criminale, delegando nelle mani dei capi piazza il commercio al minuto in cambio del pagamento ai Di Lauro di una ‘tassa’.
A lui, secondo più di un pentito, si deve anche una epurazione interna, liquidando a colpo di agguati vecchi affiliati e sostituendoli con elementi più giovani e più violenti a lui fedeli. Una scelta che scatenò mugugni e poi, a ottobre 2004, la ribellione di un gruppo legato a Cesare Pagano e Raffaele Amato, elementi di punta dei Di Lauro che diverranno poi noti come scissionisti, e che alla nuova cosca da loro creata portarono in dote i contatti din Spagna per l’approvvigionamento di droga.
Una sfida che nel giro di pochi mesi fece decine di morti a Napoli e che è ora nota come prima faida di Scampia, ispiratrice del romanzo di Roberto Saviano ‘Gomorra’ e poi dell’omonima serie. Proprio nella serie, la figura di Genny Savastano sarebbe ispirata a Cosimo Di Lauro. Il boss era stato arrestato il 21 gennaio 2005, nel rione denominato Terzo mondo del quartiere di Secondigliano, altro fortino della criminalità organizzata e della famiglia Di Lauro. Per impedire che fosse ammanettato, contro le forze dell’ordine ci fu anche un lancio di oggetti dai balconi.
Nove mesi più tardi venne arrestato anche il padre Paolo, nascosto in una casa poco lontano dall’abitazione di famiglia in via Cupa dell’Arco. Nel febbraio 2008, la condanna a 15 anni di carcere per associazione a delinquere di stampo mafioso. Il 13 dicembre 2008 un ergastolo per aver ordinato l’omicidio di Gelsomina Verde, l’ex fidanzata di un affiliato passato dalla parte degli scissionisti, Gennaro Notturno, torturata e uccisa perchè ne rivelasse il nascondiglio il 21 novembre 2004, il cui corpo venne dato alle fiamme. Di recente, Cosimo Di Lauro era stato condannato, sempre all’ergastolo, per gli omicidi di Raffaele Duro e Salvatore Panico, e di Federico Bizzarro, avvenuti a Mugnano prima della faida del 2004.
Fonte: La Repubblica