In sostanza, in diversi Paesi europei si fa strada l’opinione che il contrasto allo sfruttamento delle risorse naturali e all’utilizzo del “nucleare pulito”, da parte di vari movimenti, non sia altro che la manifestazione, forse non “disinteressata”, del disegno russo volto a creare la massima dipendenza energetica di questi Stati.
Il problema in Italia non è stato mai analizzato dai mezzi di comunicazione, ma, considerati gli orientamenti assunti da ben individuati movimenti e partiti politici (e non solo negli ultimi anni), forse resterebbe logico chiedersi: “chi ha finanziato chi ? e per quali motivi ?”.
Del resto, in un interessante saggio di Giulio Meotti pubblicato da “Il Foglio Quotidiano” dello scorso 11 e 12 giugno, si scoprono le vere ragioni che hanno indotto la Germania – ad oggi considerato il maggior Paese inquinante dell’Europa continentale (leggere il “Washington Post” per comprendere l’impennata della attuale produzione di carbone) – a smantellare le centrali nucleari, ad opporsi ad ogni politica dell’ Unione in favore dell’energia nucleare pulita.
L’Autore perviene alla conclusione che “l’utopia tedesca di una società industriale senza CO2 avesse reso indispensabile le consegne di gas e petrolio dalla Russia” (e ciò spiegherebbe anche i tentennamenti del governo tedesco con riferimento alla guerra in Ucraina).
Se vogliamo, si tratta di un fenomeno che ha interessato anche l’Italia, dove le gravi turbolenze economiche, dovute all’impennata del prezzo del gas e dell’energia, non dipendono esclusivamente dalle recenti vicende della guerra in Ucraina e dalla politica di aggressione russa.
Si scopre anche in Italia che il mancato sfruttamento dei giacimenti di gas nell’Adriatico è imputabile a soggetti collettivi e non, che “hanno un nome e un cognome”, e che la pretesa di sfruttare energie naturali rinnovabili non è affatto affidabile, in considerazione del fatto che non si tiene conto che queste energie dipendono da eventi climatici imprevedibili (ne resta un esempio il deficit rilevante di energia che ha interessato il Regno Unito a seguito della diminuzione della forza del vento nel Mare del Nord).
La transizione verso un’economia a zero emissioni carboniche è un processo lento, che va gestito senza furie ideologiche e con razionalità e pragmatismo. Proprio quello che negli ultimi anni è mancato in Italia.
Giuseppe Fauceglia