Il vero erede di quel sistema è oggi la Federazione Russa di Putin, del suo Ministro degli Esteri e dei propagandisti di regime, che, con un lento processo carsico e grazie alla complicità di alcune reti televisive, hanno instillato nelle opinioni pubbliche europee un compendio di menzogne, che oggi appaiono agli sprovveduti come “verità”.
Vorrei riflettere su quella che sembra ricevere maggiori consensi ovvero che la crisi economica attuale è il frutto esclusivo della guerra in Ucraina, la quale reca in sè come corollario l’affermazione che solo “acconsentendo” alle mire imperialistiche russe l’attuale situazione potrebbe essere superata.
Ora, non si nega che la crisi ucraina rappresenti uno dei maggiori fattori di instabilità dei mercati, ma è altrettanto necessario ricordare che la crisi attuale ha origini lontane, come il mai risolto nodo della prevalenza di un capitalismo finanziario, predatorio e parassitario, che ha prevalso sul “capitalismo della produzione e dello scambio di merci”, e che oggi profitta della guerra per operazioni speculative ad ampio spettro sui mercati delle fonti energetiche (gas e petrolio, in particolare).
Dappoi, va ricordata la crisi economica derivata dall’insorgenza pandemica, la quale ha interrotto il lento processo di ripresa che aveva interessato i Paesi dell’Unione Europea, impegnati in un faticoso riassetto dei sistemi produttivi e distributivi.
Vi è, poi, da segnalare come in alcuni Paesi, e tra questi proprio la Federazione Russa, l’accumulo di ingenti risorse finanziarie, a fronte della vendita di gas e petrolio, non ha portato allo sviluppo di un mercato globalizzato che avrebbe consentito l’interscambio di beni di ampio consumo, ma all’accumulo di smisurati patrimoni personali, e tra questi quello di Putin e dei suoi oligarchi.
Ne resta un segno evidente l’estrema povertà delle popolazioni asiatiche nella stessa Federazione Russa, e non a caso in Ucraina il saccheggio resta l’ arma più utilizzata dall’esercito russo, la quale consente ai soldati, in gran parte provenienti dalle zone più povere del Paese, di appropriarsi di quei beni di largo consumo che non avrebbero mai potuto acquistare.
Per comprendere, infine, i motivi delle difficoltà dei sistemi produttivi dobbiamo guardare alla realtà: l’adozione di risoluzioni estreme sul cambiamento climatico e la mancanza di scelte della classe politica (che si è affidata in Italia al disastroso referendum sul nucleare), ha finito per aumentare nel breve e medio termine il fabbisogno, che la guerra ha reso ancora più evidente, delle materie prime e delle fonti energetiche.
L’ultima “perla” è il passaggio nel 2035 alle auto elettriche, che non solo contribuirà alla distruzione dell’industria automobilistica europea (con gravissime ricadute sull’occupazione), ma consegnerà il sistema produttivo nelle mani della Cina, con conseguenze facilmente immaginabili; oltre a non risolvere – come è ben noto ai tecnici – il problema dell’inquinamento.
Invero, in un ristretto arco temporale non possono affrontarsi seriamente problematiche complesse, come il contrasto al cambiamento climatico. Dobbiamo riconoscere che il mantra socio-economico-culturale della sostenibilità impone di esaminare quando davvero sia possibile “sostenere la sostenibilità”.
Anche perché sfugge a tutti che gli sforzi dei Paesi dell’Unione, che inseguono il sogno della nuova rivoluzione del capitalismo occidentale, sono vanificati dalle opposte politiche perseguite dal capitalismo di Stato cinese o dal disordinato capitalismo indiano, sì da imporre oggi la domanda sui costi sostenibili e sui mezzi per evitare etichette vuote e fughe irresponsabili nel futuro.
Allora, l’opinione pubblica deve essere consapevole di queste tematiche e non può restare esposta alla comunicazione televisiva, che fa ora seguire ora precedere le informazioni sulla sanguinosa guerra scatenata da Putin, con notizie sull’aumento al consumo dei prezzi del gas o del carburante.
Giuseppe Fauceglia