La Turchia è così abituata a giocare su vari tavoli che ha lasciato credere che si sarebbe opposta alle candidature di Helsinki e Stoccolma. La riserva pareva inossidabile, è caduta d’un baleno nel corso di una riunione triangolare del Presidente Erdogan con il Presidente di Finlandia e la Prima Ministra di Svezia, a margine del Vertice di Madrid.
Il memorandum dei rispettivi Ministri degli Esteri contempla un pacchetto di reciproche concessioni. I due paesi scandinavi s’impegnano nella lotta al terrorismo di marca curda, il PKK essendo nella lista delle organizzazioni terroristiche, fino a estradare alcuni fuoriusciti verso la Turchia. Sempre che i Tribunali di Finlandia e Svezia siano dello stesso parere.
Erdogan è consapevole del rischio di impantanarsi in una querelle giudiziaria, si riserva di bloccare la ratifica dei Trattati di adesione in caso di mancata estradizione. Fra il non detto del memorandum è la disponibilità americana a fornire alla Turchia gli aerei F35, l’oggetto del desiderio delle aviazioni alleate. L’Italia ne lesinava l’acquisto per risparmiare sulla spesa militare, ora ne dispiega due nei cieli d’Islanda.
L’allargamento NATO infrange l’obiettivo della Russia di allontanarla dai propri confini. La NATO aggiunge un migliaio di kilometri comuni fra l’area del Bene (l’Occidente) e quella del Male (l’Oriente). La retorica da nuova Guerra Fredda cancella oltre trenta anni dalla perestrojka di Gorbacev con un colpo di metaforica penna. Certifica che una generazione di politici e diplomatici ha lavorato invano.
Con i nuovi Comandi strategici da installare a Est assieme al dispositivo di forze sul campo, rimane meno strumentazione da dispiegare a Sud. Il Mediterraneo resta sostanzialmente l’affare “interno” dei paesi rivieraschi e dei vicini.
Alcuni paesi mediterranei e del Golfo si mettono in proprio. La lezione dell’Afghanistan con il precipitoso ritiro del 2021, l’attenzione americana verso l’Est e l’Indo-Pacifico, la strutturale debolezza dell’Unione: ecco le prove che quei paesi possono contare fino ad un certo punto sugli amici occidentali nei frangenti delicati.
Gli Stati Uniti stanno negoziando con l’Iran la revisione del Piano d’Azione sul nucleare. Non sembrano impegnarsi contestualmente a impedire le escursioni della Repubblica Islamica verso i paesi arabi (Siria, Libano, Iraq, Yemen, Gaza).
Si apprende solo ora che, presso una base egiziana, si riunirono alti esponenti militari di alcuni paesi arabi e di Israele. Lo scopo era di coordinare le difese aeree dagli attacchi esterni (Iran). Contribuì in realtà a rendere operativa la convergenza di interessi nel contenere il nemico comune, anche senza l’intervento americano.
In un Medio Oriente poco aduso alle regole democratiche, un paese patisce l’eccesso di democrazia. Per la quinta volta in tre anni e mezzo, Israele si appresta a elezioni anticipate. Dopo appena un anno di Governo, il Primo Ministro Bennett lascia il posto a Yair Lapid per guidare il paese nella competizione del 1° novembre. L’orologio del negoziato con i Palestinesi si ferma di nuovo.
Il vento spira caldo e sabbioso dai deserti e prosciuga la nostra Penisola con la siccità. Speriamo che si tratti solo di un caldo meteorologico. E d’altronde non è che il nostro dibattito pubblico sia particolarmente attento al Mediterraneo. Ci apprestiamo anche noi alle elezioni, importa congelare il regime delle concessioni balneari.
Da Odisseo in poi l’instabilità è il codice del Mediterraneo, mare capriccioso che si apre a tutti e non si concede a nessuno.
“Chi tene ‘o mare / Cammina ca vocca salata / Chi tene ‘o mare / ‘O sape ca è fesso e cuntento / Chi tene ‘o mare ‘o ssaje / Nun tene niente” (James Senese e Pino Daniele, Chi tene ‘o mare, 1981).
di Cosimo Risi