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Provate a dargli torto, a Medvedev (di Cosimo Risi)

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Dmitrij Medvedev uscì dal radar internazionale con le dimissioni da Primo Ministro del sempiterno Presidente Vladimir Putin. I due si erano scambiati i posti quando Putin non poté correre per il terzo mandato consecutivo da Presidente di Russia. E così: Medvedev Presidente per un turno, Putin Primo Ministro per un turno, poi ambedue tornarono alle caselle originarie.

Fino al 2020. Da allora Putin è Presidente a tempo indeterminato, mentre Medvedev è confinato all’incarico di Vice Presidente del Consiglio di Sicurezza, l’organo di consulenza del Presidente che della consulenza fa volentieri a meno preferendo decidere da solo.

In cerca di visibilità, alcuni dicono per profilarsi come successore di Putin alla Presidenza nel continuo gioco delle parti,  Medvedev si trasforma in leone della tastiera per mitragliare post sul quartiere generale d’Occidente.

La mitraglia colpisce. Nella sua periferia europea, l’Occidente si espone da bersaglio fisso al poligono di tiro. La tesi di Medvedev è che l’Occidente  liberal-democratico soffre di eccessi da liberal-democrazia: una malattia auto-immune. La casistica è ampia.

Il primo a cadere sotto il fuoco democratico è il britannico Boris Johnson, quello che i Russi consideravano il pasdaran del fronte occidentale. Lo scapigliato rivaleggiava con la sua Segretaria agli Esteri, ora candidata a succedergli a Downing Street, nell’attizzare la polemica con Mosca. Ambedue difendevano, ovviamente, i valori liberal-democratici d’Occidente, di cui il Regno Unito è il tempio dall’epoca della Magna Charta.

Boris è caduto sulla crisi alcolica. Più che di eccesso di liberal-democrazia, nel suo caso si tratterebbe di eccesso di libagioni in sedi istituzionali. Bere troppo è sconveniente, farlo  a spese del contribuente è decisamente unfair.

Spetta ora all’Italia inverare la profezia di Medvedev. Gli occidentali periferici non reggono l’urto delle potenze autocratiche. Sono soggetti fragili, sono esposti al vento della propaganda ed alle lusinghe degli affari. E’ il cupio dissolvi, per dirla in latino, che già portò alla fine dell’Impero Romano. Un sistema ben più solido delle attuali democrazie.

Il Presidente americano, in missione in Arabia Saudita, scambia the fistbump, il pugno contro pugno, con il Principe Mohammed bin Salman e stringe la mano a Re Salman. La differenza nei saluti non sfugge ai curatori del protocollo diplomatico. Con il primo Biden ostenta la minima possibile cortesia, con il secondo la cortesia è piena.  Mohammed bin Salman è prosciolto dalle accuse per il caso Khashoggi, in cambio il Regno dovrebbe pompare più petrolio per frenare l’inflazione europea.

L’esito della mossa americana è incerto. E’ invece evidente il rasserenamento dei rapporti di Arabia Saudita con Israele: in coincidenza con la visita di Biden opera il primo volo commerciale da  Tel Aviv a Gedda. I voli militari seguiranno.

Per tornare a Medvedev, egli nota che dopo Regno Unito, Bulgaria, Italia, qualche altro governante  cadrà o esce ridimensionato. Si pensi a Emmanuel Macron, dimidiato dalle elezioni legislative, e Olaf Scholz in perenne cerca di posizione.

Putin, dato sull’orlo del collasso fisico e politico, resta al comando e programma il viaggio a Teheran per discutere  con Ebrahim Raisi e Recep Erdogan di Siria,  grano ucraino, droni armati.

Il portavoce della Commissione europea,  elusivo e allusivo come solo un funzionario di Bruxelles sa essere, commenta che “la Russia tenta di destabilizzare l’Unione europea e influenzare la politica interna. E’ uno degli strumenti che usa, insieme alla disinformazione. [Allo scopo si vale] di attori interni, che possono essere anche politici”. E’ l’esemplificazione della guerra ibrida.

di Cosimo Risi

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