Non v’è incontro diretto fra i belligeranti, l’intesa è officiata dal mediatore principale, la Turchia, e dall’onesto testimone, l’ONU. Emerge la centralità della Turchia, una posizione che Recep Erdogan sta accuratamente coltivando dallo scoppio delle ostilità.
Un po’ qua e un po’ là, si potrebbe definire il suo barcamenarsi fra l’essere importante membro NATO e l’essere l’amico di convenienza dei Russi, il loro appiglio al carro occidentale.
Dalla Russia comprò alcuni sistemi d’arma, la decisione generò il sospetto degli alleati NATO al punto da escludere la Turchia da certe manovre. Poi ha recuperato terreno nel dare il via libera di principio alle adesioni di Finlandia e Svezia. La sua riserva era condizionata alla collaborazione di Helsinki e Stoccolma alla lotta al terrorismo di marca curda.
A Teheran, reduce dal colloquio con Putin e probabilmente da lui stimolato, Erdogan esprime dubbi sulle adesioni. I due paesi scandinavi non sarebbero pronti ad onorare la loro parte del patto.
Alla gloria dei social è consegnata la plastica immagine dell’incontro fra i tre maschi alfa. Ebrahim Raisi tiene per mano Vladimir Putin e Recep Erdogan. Il musulmano sciita, il cristiano ortodosso, il musulmano sunnita. L’ostentazione delle religioni non cattoliche né protestanti, tipiche dell’universo occidentale, mostra che il loro riscatto si tinge di fede.
La ridefinizione degli equilibri internazionali risiede nell’identità nazionale, nel sovranismo, nella pubblica morale d’antan. L’Occidente dai costumi decadenti viaggia verso il fallimento, lo smarrimento dei segni identitari lo condanna alla confusione morale, la sua ricerca di modelli alternativi ne segna il destino. Come nell’Alto Medio Evo sarà la Chiesa d’Oriente a prevalere sulla Chiesa d’Occidente.
Il messaggio morale si sovrappone al messaggio politico. Le autarchie reggono l’urto della modernità nel leggerla con lo sguardo volto indietro. Le democrazie sono asfittiche nel loro cercare la novità per la novità. Esse ripiegano appena i conflitti si riverberano a casa loro. Si vedano le reazioni scomposte alla penuria di idrocarburi. Il montare dell’inflazione spaventa le banche centrali. Al contrario Iran e Russia sopportano stoicamente le sanzioni e trovano la forza per rilanciare. Costrette in difesa, ripartono in attacco.
E’ la favola di Esopo sulla cicala e la formica. La cicala spende tutto il suo canto nell’estate rovente. La formica si carica addosso pesi sproporzionati per prepararsi all’inevitabile avvento dell’inverno.
Le elezioni legislative in Francia, le incertezze del nuovo Cancelliere federale, la caduta della meteora Johnson, le dimissioni del Governo italiano: sono tutti segnali che, letti a Mosca, testimoniano della debolezza complessiva dell’Occidente europeo, vittima delle sue stesse regole e bersaglio prediletto della predicazione russa.
Se le elezioni di metà termine negli Stati Uniti dessero la vittoria ai Repubblicani e spianassero la strada alla candidatura di Trump alle presidenziali 2024, il gioco si riaprirebbe in termini favorevoli alle aspettative di Putin. E nel cuore americano del sistema.
Putin accetta l’intesa sul grano per la politica di apertura al mondo di mezzo, quello che ha fame e non s’è schierato nella disputa bellica. Il gesto umanitario contrasta l’immagine diffusa in Occidente che lo vorrebbe sordo ai bisogni dei popoli. Afferma che Gazprom onora i contratti di fornitura. Strizza l’occhio ai paesi europei economicamente appesi al gas russo. E’ l’ennesimo passaggio della guerra ibrida.
Le cattive notizie superano le buone. Da febbraio 5mila civili uccisi in Ucraina, decine di migliaia i militari morti su ambedue i fronti (40mila solo i Russi?), 9 milioni gli Ucraini scampati all’estero di cui 4 milioni e 700mila in Polonia, 12 miliardi di aiuti dall’Unione europea e 10 miliardi dagli Stati Uniti. Non quantificabili gli aiuti militari, stanno per aggiungersi gli aerei sempre chiesti da Zelenskyj e finora rifiutati per non alzare il livello dello scontro.
di Cosimo Risi