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Rievocazioni storiche: torna ad Olevano sul Tusciano la “La saga di Nardantuono”

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Anche quest’anno ad Olevano sul Tusciano sarà proposta, il 7 agosto, nell’anfiteatro naturale di Cannabosto in località Salitto, la “Saga del brigante Nardantuono”. La manifestazione, giunta alla XVI edizione, rievoca tra storia e leggenda le vicende del brigante Antonio di Nardo, detto Nardantuono, che trova spazio nei documenti del sacerdote Giuseppe Olivieri, che dopo il suo rapimento, riportò le notizie dei briganti della zona in un diario pubblicato nel 1897. Olevano sul Tusciano si trova tra l’omonimo fiume e il monte Raione, che separa l’abitato dalla vicina città di Campagna.

Circondato dal Parco Regionale dei Monti Picentini, deve il suo nome all’ulivo, che segna l’economia del paese. Tra le bellezze, la Grotta di san Michele Arcangelo, ubicata a circa 600 metri s.l.m., che contiene uno spettacolo di luci e ombre, determinato dalla presenza di stalattiti e stalagmiti, e cinque cappelle disseminate lungo un percorso di circa 900 metri. Il Castrum Olibani costituiva l’antico villaggio fortificato di Olevano sul Tusciano, edificato dai Longobardi su preesistenze greche e romane, per ragioni di difesa dalle continue incursioni alle quali erano soggette le popolazioni del luogo.

La fabbrica difensiva è incastonata tra due torrioni di roccia naturali in una località della frazione di Salitto, in un luogo impervio che domina l’intera vallata sottostante. La fortezza era contornata da una triplice cinta muraria di cui la prima ancora individuabile; la seconda, a mezza costa, presenta ancora intatte le torri di guardia e l’ingresso al Castrum; la terza con due torri quadrangolari era posta a custodia del nucleo centrale.

La “Saga del brigante Nardantuono” in un’ora e mezza mette in scena la vita dei briganti, la loro durezza e crudeltà, attraverso storie narrate che segnano l’immaginario collettivo. È la cronaca di un sequestro di persona a scopo di estorsione, compiuto dalle piccole-medie bande brigantesche che imperversavano tra i monti Picentini tra il 1862 e il 1866. La sera dell’11 gennaio 1864, il sacerdote Giuseppe Olivieri è catturato a Montecorvino Pugliano insieme al medico Luigi Calabritto, a cui i briganti taglieranno l’orecchio destro e gli lasceranno uno sfregio permanente sul volto.

Il fatto fu compiuto da una delle “sottobande” guidate da Antonino Maratea, alias Ciardullo di Campagna, il terrore della zona, che realizzò il sequestro conclusosi, dopo oltre un mese di sofferenze, con la liberazione dietro pagamento di una forte somma. I briganti erano: Lorenzo Gasparre di Senerchia, Luigi Cerino di Gauro, i tre fratelli Marino di Giffoni Valle Piana e Antonio Di Nardo, detto Nardantuono o “l’etiope di Montella”. Quest’ultimo è descritto dal sacerdote come “un diavolone color carbone, dal guardo scuro e bieco, e il capello sulle ventitré e tre quarti”, comunque una figura misteriosa e affascinante. Pare si fosse aggirato nella zona ed abbia più volte utilizzato quale rifugio una grotta antistante quella di San Michele, chiamata la Grotta di Nardantuono.

Il collegamento tra le due grotte è stato scoperto nel 1949: consiste in una bassa galleria ricavata artificialmente che consente il transito carponi ed a ritroso per circa 12 metri di tragitto. La manifestazione di Olevano sul Tusciano è una spettacolare rievocazione storica con centinaia di attori non professionisti che fanno rivivere gli anni del brigantaggio: essa presenta una qualità scenica degna delle pièces teatrali con la creazione di atmosfere ottocentesche e di pregiati costumi d’epoca. Seguono intermezzi con canti popolari che intrattengono il numerosissimo pubblico.

Attraverso una modalità di analisi utilizzata in precedenti lavori, la “Saga del brigante Nardantuono” si caratterizza per rilevanti contenuti storici, importante messa in scena, partecipazione attiva dei personaggi/attori, interesse da parte del pubblico ad assistere ad una manifestazione che ripropone il nostro passato e ne evoca, con fedeltà, tutte le più importanti espressioni culturali. Tuttavia un quesito pare pertinente: perché ancora oggi il brigantaggio esercita un certo fascino?

Sorto come fenomeno di ribellismo per opporsi alle tristi condizioni economiche dopo l’Unità d’Italia, i briganti furono inizialmente spinti a ribellarsi per la mancanza di quel pezzo di terra per cui avevano incominciato a lottare. Nel corso dei secoli precedenti, infatti, gli interventi per limitare il dominio dei baroni e dare ai contadini la terra erano stati vani, e successivamente la stessa speranza del riscatto con il passaggio di Garibaldi non modificarono il destino dei poveri e degli umili.

Allora la popolazione preferì guardare con favore ai briganti, che si nascondevano in luoghi impervi e solitari, con fitta vegetazione e dirupi inospitali adatti a vivere in clandestinità. La conformazione del territorio e la scarsa conoscenza della realtà meridionale portò lo Stato italiano ad agire in modo dissennato: non risolse i problemi sul piano economico-sociale ma li affrontò su quello politico-repressivo. Ed allora esasperò ancora di più le popolazioni che, almeno nella fase iniziale, simpatizzarono con i briganti/ribelli.

Poi il fenomeno si ramificò e fu costellato di leggende: i briganti divennero bande che terrorizzavano i viandanti, taglieggiavano, ricattavano, sequestravano, violentavano le donne e uccidevano. Su questi fatti hanno agito molto le storie e i racconti, trasmessi con enfasi e terrore, per sottolineare le azioni di uomini che spadroneggiavano nel territorio e si accanivano sulla popolazione. Sui briganti c’è da dire che qualcuno era connivente perché organico; la maggior parte della popolazione aveva paura: temevano le violenze e le rapine, e con prudenza cercavano di muoversi senza inoltrarsi in luoghi poco sicuri.

Ad ogni modo, nell’immaginario popolare essi rappresentavano un pericolo connesso alla stessa precarietà della loro vita. Non ci si poteva ribellare, perché la condizione dell’epoca era di accettare i soprusi anche in considerazione che la vita scorreva tra delinquenza e sopraffazioni, e l’esistenza in quelle zone ne era irrimediabilmente segnata. Credo che due siano i livelli di analisi: sul piano legale e del diritto non c’è alcun dubbio che i briganti abbiano compiuto azioni delittuose ed ogni sorta di sopruso; volendo al contrario contestualizzare il fenomeno, e collocarlo entro un ambito più propriamente sociale, si devono compiere considerazioni che riguardano il disagio del territorio meridionale che si caratterizzava, dopo l’Unità d’Italia, per povertà, miseria ed abbandono.

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