La frase del grande scrittore austriaco mi pare la più appropriata per introdurre un tema che resta “centrale” e che si ripropone con l’approssimarsi dell’ appuntamento elettorale: possiamo ritenere ancora un sistema democratico quello in cui viene sottratta agli elettori la scelta dei propri rappresentanti ?
La questione non si pone tanto nel meccanismo dell’uninominale, perché è naturale che in tal caso la scelta del candidato resta il risultato delle trattative tra le forze delle opposte coalizioni e all’elettore viene offerta l’opzione netta tra due o più alternative possibili; quanto nel meccanismo proporzionale, in cui la indicazione (meglio, la cooptazione) dei candidati, nonché la loro collocazione utile nel c.d. listino, è il risultato di una vera e propria imposizione dei leader, in dispregio assoluto di qualsiasi interesse o rappresentatività dei territori.
Può questo risultato essere considerato come espressione di una democrazia rappresentativa ? Quali sono gli effetti sulla partecipazione al voto e sul principio della rappresentanza parlamentare ? In questi anni, tutti hanno ferocemente criticato il c.d. Rosatellum, ovvero il sistema elettorale vigente, ma nessuno ha posto davvero mano ad una profonda riforma, semplicemente perché questa resterebbe contraria agli interessi di una “casta”, sempre più distante dal Paese reale. Senza considerare che la riduzione del numero dei parlamentari ha ancor più accresciuto un meccanismo capriccioso, discriminatorio e a-meritocratico nella selezione della classe politica.
Non a caso, da più parti, si è auspicata – ma la tematica non può sicuramente essere affrontata in questa sede – l’introduzione di un sistema proporzionale con sbarramento e indicazione preventiva della coalizione di governo, con conseguente ritorno alle preferenze. Soluzione ritenuta un rimedio al crescente astensionismo, che ormai caratterizza ogni appuntamento elettorale, e che resta sempre più diffuso tra i giovani e tra la popolazione meridionale.
Non siamo neppure di fronte ad una vera e propria “novità”, basti pensare che in un periodo di crisi profonda, come quella che interessò gli Stati dell’ Europa dopo la prima guerra mondiale e con l’approssimarsi dei sistemi autoritari del novecento, già Hans Kelsen ebbe a svolgere interessanti, e sempre attuali, considerazioni in alcuni articoli, ora raccolti nel volume “Due saggi sulla democrazia in difficoltà”, Aragno Editore.
Inoltre, non può essere svalutato il dato secondo il quale la progressiva abrasione dei principi della rappresentanza politica è stato il frutto della stagione di “Mani pulite”, in cui, con una vera e propria eterogenesi dei fini, venne distrutto il sistema dei partiti e i presupposti della stessa organizzazione “democratica”, così come – anche con tutti i difetti – era stata costruita in Italia nel corso della seconda metà del Novecento.
Si è così sviluppata una crescente ed imponente personalizzazione della politica, fenomeno anche questo non nuovo, considerato che già nel 1932 (non a caso !) nei manifesti elettorali di Paul von Hinderburg era riportata la frase “La scelta implica una persona, non un partito ! ”, ed erano queste le elezioni che avevano preceduto la vittoria di Adolf Hitler nel 1933.
Non credo neppure che questa difficoltà della democrazia possa oggi essere superata in una prospettiva diversa (che è quella proposta recentemente nel libro di Zac Gershberg e Sean Illing, “The Paradox of Democracy”, ed. University of Chicago Press), secondo cui bisognerebbe pensare alla democrazia meno come un tipo di governo e più come una cultura aperta di comunicazione.
Se la concentrazione del potere economico, il quale comprende anche quello della diffusione di dati, di informazioni e di opinioni che attribuiscono ai titani del web il potere di influire sulle autorità di governo e sugli stessi elettori, resta un elemento non secondario, si presenta altrettanto rilevante che lo svuotamento del ruolo e della funzione dei partiti (anche di quello meno apparentemente personalistico, come il PD) non è irrilevante per comprendere la crescente disaffezione verso la politica, con il conseguente concentramento del potere di scelta nelle mani di pochi.
Si impone, allora, la urgenza di riformare il sistema elettorale, in una prospettiva che recuperi la tradizione partecipativa e la conseguente valenza rappresentativa (e selettiva) dei partiti, come a questi assegnata anche dalla norma costituzionale. Mi pare questa essere l’unica strada per superare una politica ridotta ormai al ruttodromo, solcata da odiatori di ogni risma e da infelici sociali desiderosi solo di dare voce alla “pancia” e non all’ “intelletto”.
Giuseppe Fauceglia